Alla Nato tutti diranno sì a investire di più nella Difesa, chissà quanto concretamente

  • Postato il 13 giugno 2025
  • Di Il Foglio
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Alla Nato tutti diranno sì a investire di più nella Difesa, chissà quanto concretamente

Fra due settimane, il 24 e 25 giugno, si terrà all’Aia il vertice dell’Alleanza Atlantica, che da qualche anno ha una cadenza annuale. Nel passato non era così: ad esempio, a quello tenuto a Roma nel 1991, in cui si prese atto della nuova situazione strategica, con la dissoluzione dell’Unione sovietica, seguì solo dopo tre anni la riunione di Bruxelles. In effetti, nel percorso di avvicinamento alla prossima riunione, si è levata qualche voce, a livello di analisti, per chiederne il rinvio, date le incertezze circa le intenzioni di Washington, in relazione a dichiarazioni talvolta estemporanee provenienti dalla Casa Bianca. Poi, però, l’attenzione si è focalizzata sugli aspetti finanziari, attesa la richiesta imperativa di Trump di innalzare il livello di spesa per la difesa di ogni singolo membro dell’Alleanza al cinque per cento del prodotto interno lordo, lasciando dietro le quinte i temi di natura strategica, che rischierebbero di essere fortemente divisivi.


L’attenzione si è quindi focalizzata sulle questioni di bilancio, con il segretario generale Mark Rutte che ha elaborato uno schema secondo il quale l’impegno da assumere sarebbe quello di portare la spesa per le capacità operative propriamente dette al 3,5 per cento, con ulteriore  1,5 per cento per spese di altra natura, ma che comunque contribuiscono alle effettive capacità di resistere a un’aggressione armata: si tratta ad esempio degli investimenti di natura infrastrutturale, delle spese per la ridondanza delle reti energetiche e finanche di quelle per la predisposizione di strutture ospedaliere in grado di sopperire alle esigenze di cura nell’eventualità di un conflitto. Per questa quota dell’1,5 per cento quindi si può scatenare ogni fantasia creativa e non ci sono dubbi che ciascun paese sarà in grado di dimostrare la propria efficienza e buona volontà. Meno agevole sarà il tema del 3,5 per cento per spese direttamente attinenti alla Difesa: oggi i maggiori paesi sono generalmente ben lontani da questo livello e pertanto ci dobbiamo attendere un impegno al momento solo politico a raggiungere l’obiettivo in un certo numero di anni, sette o dieci, magari con una segreta speranza che una prossima Amministrazione americana sia disponibile a un ripensamento: sul tema gli sherpa stanno lavorando e a breve ne vedremo il risultato. Ma il tema merita un approfondimento: quali sono le spese che si possono far rientrare in questo quadro? Su questo argomento la flessibilità è ovviamente meno ampia e i criteri sono sufficientemente chiari. Analizzando il bilancio della Difesa italiano occorre sapere che include le spese per tutto il personale dell’Arma dei carabinieri (retaggio di quando faceva parte dell’Esercito, fino al 1° gennaio 2000), pertanto vengono distinte le spese per la “funzione Difesa” propriamente detta, da cui vengono escluse le spese per i Carabinieri, a eccezione dell’aliquota che viene resa disponibile per missioni operative, circa diecimila unità, oltre ad altre spese minori; a queste si aggiungono quelle un tempo sostenute dall’attuale ministero delle Imprese e del Made in Italy, per specifici programmi di sviluppo. Così facendo si arriva a poco più dell’1,6 per cento del pil.


La necessità politica di arrivare al due per cento, come concordato fin da 2014 nel vertice Nato del Galles, ha indotto il governo a riclassificare come spese per la Difesa anche quelle relative ad altri Corpi, come la Guardia Costiera e la Guardia di Finanza (che in tempo di guerra passa alle dipendenze del ministro della Difesa), interpretando estensivamente i criteri fissati dalla Nato. Questi infatti consentono di considerare altri corpi armati, oltre alle Forze Armate propriamente dette, ma solo per l’aliquota impiegabile in operazioni militari, come il naviglio d’altura della Guardia Costiera o i “Baschi verdi” della GdF. Oltre questo, si entra nella contabilità creativa. In questa situazione l’impegno italiano (e non solo italiano) a giungere effettivamente al 3,5 per cento, anche spalmando  la spesa in un decennio, appare francamente velleitario, se si tiene conto della situazione del nostro debito pubblico e dello stato delle finanze nazionali. Come accennato, il problema non è solo nostro: anche paesi come la Francia si trovano in una situazione finanziaria non favorevole, così come la Spagna, mentre la Germania, che certamente dispone di un maggiore spazio fiscale, avrà più agio a programmare un così sostanziale incremento di spesa. Possiamo quindi attenderci che dal vertice esca sì un impegno collettivo a un incremento dei bilanci spalmato in più anni, ma quanto questo impegno potrà concretizzarsi è tutto da vedere.

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Autore
Il Foglio

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