Alla Mostra del Cinema di Venezia arriva in anteprima l’ultimo capitolo de “I diari di Angela”
- Postato il 26 agosto 2025
- Cinema & Tv
- Di Artribune
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Per i cinenauti Yervant Gianikian e Angela Ricci Lucchi, la comprensione nasce dalla conoscenza. “Artisti-artigiani, archeologi dell’immagine, esploratori dell’immaginario e viaggiatori della storia”, come li ha definiti Enrico Nosei, dalla metà degli Anni ’70 hanno realizzato film sperimentali e indipendenti restaurando pellicole, tenendole in vita, restituendogli la capacità di procreare, generando nuove interpretazioni. Diventa così un cinema nel cinema, il loro, dove si raccontano storie capaci di raccontarsi di nuovo: insieme catalogano oggetti, dai giocattoli alle fotografie, che usano poi per dar vita a un teatro concettuale, filmandoli, esaminano con la lente d’ingrandimento pellicole di film muti, fotogramma per fotogramma, accorgendosi di dettagli che il normale scorrimento meccanico delle immagini non avrebbe permesso. Questa diventerà la loro “camera analitica” a firmare i progetti più importanti, Dal Polo all’Equatore, Uomini anni vita, Prigionieri della guerra e Inventario balcanico.
A Venezia 2025 “I diari di Angela – Noi due cineasti. Capitolo terzo”
Con I diari di Angela – Noi due cineasti. Capitolo terzo si chiude un ciclo iniziato nel 2018, anno della scomparsa di Angela, e proseguito l’anno successivo, quando Yervant scelse di continuare a far vivere, attraverso immagini e parole, quel lavoro condiviso. Oggi, a distanza di sei anni, quelle pagine tornano ad aprirsi: diari illustrati e reportage, video personali che hanno registrato la vita della coppia nei loro viaggi. Scorrono così memorie intime e quotidiane, appunti di viaggio e riflessioni: “È il mio ricordo di Angela, della nostra vita. Il mio disperato tentativo di riportarla al mio fianco, di farla rivivere, la continuazione del nostro lavoro come scopo, missione attraverso i suoi quaderni e disegni, una sorta di mappa per l’agire ora, che ne contiene le linee direttrici e ne prevede la continuazione”.
Accanto a Gianikian, la scrittrice Lucrezia Lerro presta la propria voce ai diari della malattia di Angela, restituendone la profondità poetica e la forza emotiva. Ne emerge un racconto intenso, che affronta il dolore e lo trasforma in creazione, confermando come l’arte possa nascere da un’esperienza personale per diventare linguaggio universale. Il film, che verrà presentato in anteprima mondiale il 2 settembre alla Sala Giardino per la 82esima Mostra Internazionale d’Arte Cinematografica di Venezia, riporta in scena volti e temi centrali della ricerca dei due cineasti: la memoria, la violenza della storia, la quotidianità condivisa. Un’opera che chiude la trilogia, ma lascia aperta la possibilità di sguardi nuovi.
L’ultimo capitolo della storia di Yervant Gianikian e Angela Ricci Lucchi
“L’intervallo di sei anni”, racconta Gianikian, “è stato dettato dalle guerre, dalla devastazione che sembra non avere mai fine. In quel tempo ho realizzato “Frente a Guernica. Director’s Cut”, un lavoro che mi ha assorbito completamente. È stato necessario”. Il tempo, però, non è stato un’interruzione, ma un respiro. La memoria di Angela scorre come una corrente sotterranea. “Continuo il nostro lavoro, il comune impegno politico. Bisogna andare avanti con coraggio, e sapere sempre dove si vuole arrivare attraverso il racconto delle proprie opere”.
Lerro, che ha prestato la voce ai diari, descrive la sua esperienza come un incontro con una presenza viva: “Dare forma alle parole di Angela vuol dire sentirla vivere, vederla camminare, ascoltarla nelle sue battaglie quotidiane. Nella sua forza artistica. Yervant mi ha insegnato che l’amore per l’arte fa durare la vita oltre ogni aspettativa, oltre le malattie e oltre la fine stessa della vita”.
I diari di Angela come “processo alchemico” e “atlante di resistenza”
È un dialogo a tre, in cui la voce di Lerro si intreccia con quella di Gianikian e con quella, ancora vibrante, di Angela. “Lucrezia è un poeta gigante”, dice Yervant, “e la sua sensibilità incontra la nostra, la mia e quella di Angela, in un processo alchemico prezioso”. La scrittrice conferma questo incontro come una rivelazione: “I film di Yervant e Angela sono unici al mondo. Scoprirli, lavorarci, è stato come imparare una lingua nuova, che non pensavo esistesse. Quando vidi per la prima volta “Images d’Orient tourisme vandale”, ebbi quasi uno shock: era difficile accogliere tanta originalità. Poi ho scoperto la loro “Camera Analitica”: una meraviglia ineguagliabile”.
Il cinema di Gianikian e Ricci Lucchi non è mai stato solo testimonianza, ma sempre trasformazione: “La singola storia personale di dolore costituisce le storie collettive di dolore. Si parte dall’uno per arrivare all’altro. Così la vita privata e le tragedie della storia si fondono”, afferma Yervant. Per questo i diari diventano un diario infinito, un atlante di resistenza. La lentezza stessa del loro cinema è una scelta etica: “Abbiamo bisogno di cambiare la temporalità della proiezione interveniamo sulle velocità della pellicola per creare una nuova visione, che permetta la meditazione sugli oggetti e sulle figure dell’archivio. Attraverso la “Camera Analitica” costruiamo un tempo speciale, necessario per vedere davvero”. Ogni immagine diventa così un gesto di memoria e di responsabilità: “In Francia hanno scritto che Godard ha fatto la storia del cinema, mentre noi, con Angela, con il cinema abbiamo fatto la storia dell’uomo. È un’affermazione che ci accompagna. E noi continuiamo a lavorare sulla violenza delle guerre in atto. “Frente a Guernica” è stato accolto in silenzio da centinaia di spettatori: nessuno si è mosso fino alla fine”.
Per Lerro, questa esperienza ha significato anche un modo nuovo di vivere l’arte: “Essere dentro un loro film è magia, grazia. Le emozioni sono tante e complesse, soprattutto ora, alla Mostra di Venezia. Dovrei inventare un aggettivo nuovo per dire cosa provo. È qualcosa che va oltre la letteratura e oltre il cinema”. Il loro lavoro, ancora una volta, unisce passato e presente, memoria storica e urgenza politica. “Abbiamo sempre scavato nelle immagini”, ricorda Gianikian. “Già con “Dal Polo all’Equatore”, nel 1986, salvando i materiali dal decadimento e dal fuoco. Ciò che abbiamo visto lì era la contrapposizione degli imperi, l’Africa, il Caucaso, l’India, la conquista, la guerra. Rovesciare i significati originari dei materiali, significa restituirli come memoria critica”.
Così, tra le pagine dei diari e le immagini d’archivio, il dolore privato diventa resistenza collettiva, e la promessa a Angela si rinnova: continuare a guardare, a raccontare, a trasformare. “Io continuo il nostro lavoro”, ripete Gianikian. “Perché l’arte non si interrompe: ha una durata che va oltre noi”.
Ginevra Barbetti
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