Alla base della vittoria di Trump un consenso eterogeneo
- Postato il 11 novembre 2024
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Il Quotidiano del Sud
Alla base della vittoria di Trump un consenso eterogeneo
Oggi, un elettore di Trump su cinque è afroamericano: alla base della sua vittoria schiacciante c’è un consenso eterogeneo
Le presidenziali americane del 2024 si concludono con un risultato che non ammette repliche. Donald Trump vince alla grande, hanno perso tutti quelli che pensavano che fosse una meteora, una deviazione nel percorso lineare della storia, un figurante in una estemporanea isola dei famosi. Per farsene una ragione basterebbe chiedere ai sostenitori che in lui hanno visto le stigmate del leader di un movimento politico di lungo periodo fin da quando, nel 2015, ha lanciato per la prima volta le sue ambizioni presidenziali. Non è un fatto secondario. Un politico di passaggio può vedere sfumare la sua carriera per una battuta d’arresto imprevista. Ma il leader di un movimento, forte di un consenso reale e radicato nella popolazione, nelle battute d’arresto può perfino trovare nuovo slancio che trae energia da fattori diversi: l’identità culturale, il risentimento, le aspettative palingenetiche.
HARRIS NON E’ MAI STATA UNA MINACCIA PER TRUMP
Dopo aver perso le elezioni del 2020, Trump è stato messo sotto accusa per aver cercato di truccare il voto e per aver impedito il corretto passaggio di potere. Ma nonostante questi inciampi processuali, non ha mai perso la presa sul Partito Repubblicano, ha ottenuto la ricandidatura senza alcuna difficoltà e ha schiacciato l’avversaria nel match conclusivo. Kamala Harris – ora possiamo dirlo – non ha mai costituito una seria minaccia per Trump e la sua sconfitta è perfino amplificata dal rovesciamento subito in tutti gli stati in bilico e da una parte importante dell’elettorato democratico che le ha voltato le spalle. Di fatto, la sua carriera politica si è conclusa perché nessun esponente del suo partito sarà disponibile a sostenerla di nuovo per una rivincita tra quattro anni. Men che meno i notabili del mondo dem – a partire dalla famiglia Obama – che l’hanno imposta in vece del malconcio Joe Biden.
LE RAGIONI DELLA VITTORIA DI TRUMP AFFONDANO NEL CONSENSO ETEROGENEO DELLA REALTÀ AMERICANA
I più ottimisti avevano visto in Donal Trump un particolare tipo di politico americano – simile a George Wallace, a Joe McCarthy o a Ross Perot – capace di cavalcare occasionali correnti di risentimento contro le élite e la politica. Si tratta di tribuni populisti che all’inizio appaiono figure luminose spaventando l’establishment, ma alla fine svaniscono nel nulla perché non sono veramente connessi con il carattere più profondo della maggioranza del popolo americano. Bene, non è il caso di Donald Trump. Il tycoon è stato capace di definire una linea guida molto apprezzata basata sostanzialmente sul disprezzo verso i politici e i media liberali, troppo impegnati in divagazioni sui rischi di fascismo e su questioni culturali che interessano soltanto alcune porzioni dell’elettorato, in genere quelle consolidate nelle grandi aree urbane e costiere.
Ma questa volta, pur avendo perso qualche voto in termini assoluti, Donald Trump è perfino riuscito ad ampliare la sua ‘coalizione’ di interessi rubando al partito democratico pezzi importanti di consenso tra gli afroamericani, tra i latinos e perfino tra i giovani e le donne. La sua prima vittoria nel 2016 era stata quasi esclusivamente il frutto della rabbia degli elettori bianchi. Stavolta Trump ha conquistato un elettorato eterogeneo, guidato certamente dall’appeal esercitato sugli elettori maschi oltre che dalla inconsistenza di Kamala Harris.
IL CONSENSO ETEROGENEO DI TRUMP: UN LETTORE SU 5 È AFROAMERICANO
E così, oggi, un elettore di Trump su cinque è afroamericano. Addirittura, tra gli uomini di colore il neo presidente ha conquistato tra il 21 e il 24 percento. Nel 2016, solo il 13 percento degli elettori di Trump era di colore. Anche gli elettori latinoamericani, di norma baluardo affidabile della base democratica, si sono spostati a destra: Harris ha conservato un vantaggio di circa 10 punti, ma è un enorme cambiamento rispetto alla vittoria di circa 30 punti di Biden tra gli elettori ispanici di quattro anni fa. Nel complesso, le donne hanno votato per Harris, ma le donne bianche sono state un altro zoccolo duro di Trump con un rotondo 53 per cento.
In questo modo, il candidato repubblicano ha conquistato gli stati indecisi, ha diversificato il suo elettorato più di quanto sia stato in grado di fare qualsiasi altro candidato Gop negli ultimi 20 anni, ha vinto perfino il voto popolare generale: cosa che non accadeva dai tempi di George W. Bush e che non era accaduta nemmeno nel 2016 quando Hillary Clinton, benché sconfitta, aveva guadagnato la maggioranza dei voti.
La vittoria schiacciante di Trump risparmia l’America dal pericolo di disordini politici e di conflitti istituzionali relativi alla validità del voto e al passaggio di consegne alla Casa Bianca. Nel discorso della vittoria, il vincitore ha così potuto usare dei toni moderati che non gli sono consoni. Ma che cosa succederà adesso? Gran parte della energia morale e della forza politica deriva a Trump dal vittimismo, dalla capacità di convincere i suoi sostenitori di essere un lottatore coriaceo contro i poteri consolidati. Adesso il centro del potere è lui stesso.
QUALE FUTURO DAL PRIMO GENNAIO
Tutti si chiedono se Trump vorrà davvero realizzare le promesse contenute nel Project 2025, il programma politico lanciato nel 2022 dalla Heritage Foundation, Think tank di ispirazione conservatrice che mira a promuovere politiche estreme con lo scopo di rimodellare l’amministrazione statunitense allo scopo di garantire la totale fedeltà ai desiderata del presidente. Molti sperano, viceversa, che la vittoria possa mitigare il desiderio di vendetta di Trump contro le persone e le istituzioni finora percepite come un ostacolo alla sua rivincita. Ma per rispondere in modo certo a queste domande bisognerà attendere gennaio dell’anno prossimo quando la successione sarò formalizzata definitivamente. Nel frattempo, avremo circa due mesi – il lungo tempo della transizione – per provare almeno ad intuire le sue reali intenzioni.
Il Quotidiano del Sud.
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