“Alitalia Aviation fu liquidata”. La Consulta chiude il caso della norma che escluse i lavoratori da Ita
- Postato il 8 luglio 2025
- Lavoro
- Di Il Fatto Quotidiano
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Il cosiddetto salva Ita non è in discussione. Lo ha stabilito la sentenza numero 99 della Corte Costituzionale che è stata depositata l’8 luglio, oltre tre mesi dopo l’udienza finale sul caso che riguarda i 2000 dipendenti della ex Alitalia Sai che nel 2021 non sono stati assorbiti in Ita e saranno in cassa integrazione fino a ottobre 2025, per poi venire licenziati. La Corte era stata chiamata dal giudice del Lavoro del Tribunale di Roma, Tiziana Orru, a esprimersi sulla questione di legittimità del decreto interpretativo con il quale il governo, nell’autunno 2023, aveva blindato l’esclusione dei dipendenti di Alitalia Sai in amministrazione straordinaria dal passaggio della compagnia in Ita che, prima della vendita a Lufthansa, era di proprietà dello Stato. Secondo quasi 1500 lavoratori esclusi dal perimetro della compravendita, il loro posto di lavoro andava conservato poiché ritengono che ci sia stata un passaggio di mano non di un solo ramo d’azienda, ma dell’intera compagnia, in un contesto quindi di continuità aziendale. Di conseguenza fin dal 2021 hanno promosso dei giudizi per farsi reintegrare in diversi tribunali della Penisola, come quello di Roma dove appunto è stata sollevata la questione di legittimità con rinvio alla Consulta, che a inizio anno ha accolto tra le sue fila anche Massimo Luciani, ordinario di Istituzioni di diritto pubblico all’Università La Sapienza di Roma sostenuto dal Pd, ma anche uno dei legali di Ita Airways nei procedimenti contro i lavoratori.
Secondo il Tribunale di Roma, il decreto interpretativo del 2023 era stato introdotta per condizionare l’esito dei giudizi in corso e per negare, in contrasto con l’articolo 2112 del codice civile, il diritto dei dipendenti di Alitalia, addetti al lotto aviation, di continuare a lavorare con Ita Airways, società che ha rilevato il ramo di azienda. La Corte costituzionale, tuttavia, ha dichiarato inammissibili le questioni di legittimità costituzionale poste dal giudice Orru, in quanto fondate su un “erroneo presupposto interpretativo“. Il giudice del lavoro infatti esclude che la vendita di Alitalia Aviation sia avvenuta all’interno di una procedura di natura liquidatoria. Non così la Corte secondo la quale la cessione è stata realizzata nell’ambito della procedura di amministrazione straordinaria e, in particolare, in relazione a un programma di cessione dei complessi di beni e di contratti. Le operazioni effettuate dai commissari, quindi, non tendono al recupero e alla riorganizzazione dell’attività del cedente, ma appunto alla sua liquidazione. E, è il ragionamento della Consulta, le operazioni finalizzate alla liquidazione dei beni del cedente non costituiscono trasferimento di azienda, di ramo o di parti dell’azienda agli effetti dell’articolo 2112 del Codice Civile, dunque non prevedono la garanzia della continuità del rapporto di lavoro. Il carattere liquidatorio della procedura, sottoposta al controllo di un’autorità pubblica, giustifica la deroga alla continuità del rapporto di lavoro con il cessionario, anche alla luce delle prescrizioni del diritto dell’Unione europea.
In questa prospettiva, è la conclusione della Corte, non ha rilievo determinante la normativa del 2023 del governo Meloni, che secondo la Corte si è limitata ad aggiungere un’ulteriore ipotesi a quelle disciplinate dal d.lgs. 270 del 1999 “già idonee a fornire la soluzione del caso di specie, per la finalità liquidatoria che le caratterizza”, è la sintesi. Quello che la Corte non chiarisce, però, è come sia stato possibile, nell’ambito di una procedura liquidatoria, trasferire da una compagnia all’altra anche gli slot e le quote ETS, ovvero gli sconti sulle tasse sull’inquinamento. In base alla normativa comunitaria, i permessi di decollo e atterraggio non possono essere venduti come un bene a se stante: se una compagnia viene comprata in continuità, gli slot passano all’acquirente con tutti i lavoratori, se c’è discontinuità tra la nuova e la vecchia società, no.
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