Aliança Catalana, l’ultradestra “esplode” in Catalogna: se si votasse oggi sarebbe il 3° partito
- Postato il 30 novembre 2025
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- Di Il Fatto Quotidiano
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Fino a un anno fa era una forza marginale, con l’1,3% alle municipali e il 3,8% alle regionali. Oggi, secondo gli ultimi sondaggi del Centre d’Estudis d’Opinió (CEO), Aliança Catalana (AC) è la formazione che cresce più rapidamente in Catalogna: arriverebbe a 19-20 seggi, praticamente alla pari con Junts per Catalunya, storico partito del catalanismo di destra moderata. Un salto che, se confermato alle urne, ridisegnerebbe completamente l’equilibrio politico nella comunità autonoma.
Il risultato ha del sorprendente. Da due seggi a quasi venti nel giro di pochi mesi: una progressione “quintupla”, che molti analisti definiscono una vera e propria “rivoluzione silenziosa”. AC diventerebbe la terza forza della Catalogna, subito dietro socialisti (PSC) ed Esquerra Republicana (ERC), e davanti a Junts. Un terremoto politico che sta attirando l’attenzione anche fuori dalla Spagna.
Aliança Catalana è guidata da Sílvia Orriols, sindaca di Ripoll, comune dell’entroterra pirenaico dove il partito è nato e dove ha consolidato il suo primo nucleo militante. Ideologicamente, AC rappresenta una novità nel panorama catalano: non è la destra unionista alla Vox, né la sinistra indipendentista della CUP. È qualcosa di diverso: una miscela di nazionalismo catalano radicale, identitarismo culturale e populismo di destra, con una marcata attenzione ai temi di immigrazione, sicurezza e identità.
AC si colloca, inoltre, nel campo dell’indipendentismo. Ma con molte differenze: parla di “nazione catalana” in termini etnici e culturali, denuncia la “minaccia islamica”, chiede il divieto del velo nelle scuole, critica il multiculturalismo e propone una Catalogna “laica ma protetta” contro ciò che definisce “derive comunitariste”. Una posizione che l’ha portata a essere classificata come estrema destra catalanista, un unicum nel quadro politico spagnolo.
Il boom di AC non è omogeneo: è più forte nelle aree interne che nelle metropoli costiere. Ripoll resta il cuore del movimento, ma negli ultimi mesi il partito ha aperto comitati in quasi tutte le comarche catalane, con particolare forza nelle province rurali e semi-rurali di Lleida, Girona e nelle zone meno dinamiche dell’entroterra di Barcellona.
Si tratta di territori segnati da spopolamento, precarietà, taglio dei servizi pubblici e cambiamenti demografici rapidi. Là dove l’identità catalana è sentita in modo più viscerale e dove l’immigrazione recente ha modificato il tessuto sociale, il messaggio “difensivo” di AC trova terreno fertile. È l’altra Catalogna, lontana dalla capitale e dalla sua immagine cosmopolita. Nelle zone metropolitane AC fatica di più, ma sta cercando di espandersi, puntando su un elettorato giovane e disilluso.
A spiegare la crescita fulminea di Aliança Catalana concorrono diversi fattori che si intrecciano. Il primo è il declino dell’indipendentismo tradizionale: a seguito della pesante repressione e da anni di promesse non mantenute, tentativi falliti e compromessi istituzionali, Junts ed ERC appaiono logorati e incapaci di dare una direzione chiara al movimento indipendentista. Una parte consistente dei loro elettori, delusa e frustrata, cerca un’alternativa più radicale, e AC si presenta come la risposta più netta.
Accanto a questo, pesa molto la natura stessa dell’offerta politica del partito, che combina nazionalismo catalano e indipendenza con una piattaforma di destra identitaria, incentrata su sicurezza, immigrazione e ordine pubblico. È una formula che intercetta un sentimento crescente di insicurezza sociale e culturale, in Catalogna come nel resto d’Europa. Per molti, AC incarna la promessa di protezione che i partiti tradizionali non offrono più. La terza dinamica è l’effetto “rottura”: AC si propone come forza anti-establishment, contro l’intero sistema politico catalano, affaticato da anni di scandali, divisioni interne e paralisi. Il linguaggio diretto, polarizzante, quasi brutale del partito funziona tra gli scontenti e tra chi si sente abbandonato dalle élite barcellonesi.
A tutto questo si aggiunge la frammentazione del fronte indipendentista. Per la prima volta, la frattura politica non passa solo tra indipendentisti e unionisti o tra sinistra e destra. AC introduce un nuovo terreno di scontro, quello identitario, che rimescola le appartenenze e crea un panorama strategicamente più liquido, dove è più facile emergere rompendo schemi consolidati.
Infine, non va sottovalutata la crescita organizzativa e comunicativa del partito. In pochi mesi AC ha costruito comitati territoriali, strutture locali e una macchina propagandistica molto attiva sui social. L’arrivo di figure mediatiche e un uso sapiente dei conflitti identitari e delle paure sociali le hanno garantito una visibilità che fino a un anno fa sarebbe stata impensabile.
Nonostante l’esplosione nei sondaggi, restano punti interrogativi cruciali. AC potrebbe essere un fenomeno “di protesta”, difficile da mantenere nel tempo. Il sistema elettorale catalano premia i partiti radicati e penalizza chi ha consenso disperso. Inoltre, quasi tutte le altre forze politiche hanno già evocato la possibilità di un cordone sanitario: AC rischia di restare politicamente isolata anche con molti seggi. Senza dimenticare un problema diretto nello scenario politico: gli argomenti politici AC sono in concorrenza con Vox, l’estrema destra spagnola. Avere due attori con lo stesso discorso e parole d’ordine su tematiche come immigrazione puó portare una spostamento facile di voti a chi ha già piú presenza nazionale.
E poi c’è un ultimo nodo: la capacità di governare. Finora il partito non ha esperienza amministrativa oltre Ripoll. È un movimento giovane, senza una struttura consolidata e con un discorso ideologico difficile da tradurre in politiche pubbliche.
(Foto da Facebook)
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