Algeria: la fuga dell’ex capo della DGSI scuote il governo
- Postato il 24 settembre 2025
- Di Panorama
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Il regime algerino è stato colpito da un terremoto politico e militare dopo la spettacolare fuga del generale Abdelkader Haddad, alias Nasser El-Djinn, ex capo della Direzione Generale della Sicurezza Interna. Figura temuta e centrale nella repressione durante il «Decennio Nero», il generale è riuscito a lasciare Algeri nelle scorse settimane dopo che lo scorso 22 maggio era stato congedato e posto agli arresti domiciliari. La sua evasione verso la Spagna, realizzata con la complicità di settori interni all’apparato di potere, mette a nudo la fragilità di un sistema che si regge sul controllo dell’esercito e dei servizi segreti. Dietro l’episodio si cela molto più di una semplice lotta di potere. El-Djinn che temeva di essere ucciso, porta con sé dossier esplosivi: dalle operazioni coperte di finanziamento e addestramento del Fronte Polisario fino ai rapporti segreti con Teheran e Hezbollah. Informazioni che, se rivelate, rischiano di incrinare l’impalcatura geopolitica costruita da Algeri negli ultimi decenni, proiettando instabilità non solo nel Maghreb ma anche nell’intero Sahel.
Un apparato spaccato e la mina vagante El-Djinn
Il generale conosce ogni dettaglio della gestione occulta dei fondi neri, dei giochi interni tra il presidente Tebboune e il capo di stato maggiore Said Chengriha, e soprattutto della strategia esterna che fa dell’Algeria un attore chiave nella destabilizzazione del Sahel. La decisione di Chengriha di chiudere i valichi con la Tunisia dopo la fuga testimonia l’angoscia di un regime che teme ulteriori defezioni.Ma ciò che preoccupa maggiormente è il patrimonio di segreti che El-Djinn potrebbe consegnare alle intelligence occidentali o, peggio ancora, utilizzare come arma di pressione politica. Dalle rotte dei rifornimenti al Polisario fino ai contatti con milizie jihadiste infiltrate nel Sahel, la sua conoscenza diretta rappresenta un pericolo mortale per l’apparato di sicurezza algerino.
Un fenomeno non isolato: altre fughe eccellenti
La clamorosa evasione di El-Djinn non è un unicum. Negli ultimi anni diversi generali e ufficiali, spesso coinvolti nelle lotte tra clan di potere, hanno scelto la via dell’esilio. Dopo la caduta di Abdelaziz Bouteflika nel 2019, figure legate al suo entourage sono riparate in Spagna, Francia o Svizzera, temendo epurazioni o processi per corruzione. Anche alcuni ex dirigenti del disciolto DRS, il potente servizio di sicurezza dominato dal generale Mohamed Mediène detto Toufik, avevano già abbandonato il Paese per rifugiarsi in Europa. Fonti marocchine segnalano inoltre defezioni di ufficiali algerini vicini al Polisario, che avrebbero trovato riparo in Mauritania o in altri Paesi europei, portando con sé informazioni sensibili sui rapporti tra Algeri, i separatisti sahrawi e attori esterni come l’Iran. La fuga di El-Djinn si inserisce dunque in una dinamica ricorrente che rivela l’instabilità cronica di un apparato più abituato alla repressione che alla coesione. Il sostegno al Polisario non è soltanto una battaglia diplomatica contro il Marocco: è il tassello di una strategia più ampia che vede Algeri impegnata a mantenere instabile la cintura saheliana per esercitare un ruolo egemonico. Attraverso le proprie reti di intelligence, l’Algeria ha fornito negli anni supporto logistico, armi e rifugio a gruppi armati che operano tra il Mali, il Niger e la Mauritania. Molti analisti denunciano come i campi profughi di Tindouf, ufficialmente sotto il controllo del Polisario, siano diventati crocevia di traffici illeciti e retrovie operative per milizie che destabilizzano la regione. La fuga di El-Djinn rischia di svelare fino a che punto Algeri abbia giocato la carta della destabilizzazione come strumento politico.
Il filo rosso con Teheran
In questo mosaico si inserisce l’Iran, che da anni coltiva rapporti stretti con il Polisario e con i vertici militari algerini. Teheran ha individuato in Algeri un partner strategico per estendere la propria influenza in Nord Africa, replicando nel Maghreb il modello già sperimentato in Medio Oriente con Hezbollah e le milizie sciite. Le informazioni raccolte da fonti diplomatiche indicano che la cooperazione tra i Pasdaran e il Polisario, mediata proprio dai servizi algerini, si sia intensificata negli ultimi anni con la fornitura di droni e addestramento paramilitare. Per l’Iran, il sostegno ai separatisti sahrawi rappresenta un modo per logorare il Marocco, storicamente vicino agli Stati Uniti e a Israele, e al contempo aprire un nuovo fronte di pressione sull’Europa attraverso la rotta migratoria saheliana. La fuga di El-Djinn arriva dunque in un momento in cui l’Algeria si trova già sotto pressione: crisi economica, malcontento sociale e una leadership divisa tra un presidente debole e un generale onnipotente. Ma è soprattutto sul piano regionale che le conseguenze potrebbero essere più gravi. Se le informazioni riservate in possesso dell’ex capo dei servizi dovessero emergere, potrebbero confermare il ruolo dell’Algeria come sponsor occulto dell’instabilità nel Sahel e il legame organico con l’Iran. Una combinazione esplosiva che mette a rischio non solo il fragile equilibrio del Maghreb, ma anche la sicurezza europea, già esposta alla minaccia del terrorismo e ai flussi migratori. Per gli osservatori internazionali, questa vicenda è molto più di una lotta di potere interna. È il sintomo di un sistema che da decenni utilizza la destabilizzazione come arma geopolitica. L’Algeria, sostenuta dall’Iran, non si limita a difendere le proprie posizioni regionali: plasma i conflitti, alimenta le tensioni e sfrutta le fragilità del Sahel per consolidare la propria influenza. La fuga di El-Djinn rischia ora di squarciare il velo di segretezza, trasformando quelle che finora erano solo accuse in prove concrete.