Alessia Pifferi condannata a 24 anni in appello, cancellato l’ergastolo
- Postato il 5 novembre 2025
- Cronaca
- Di Blitz
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Non incapace di intendere e di volere, ma affetta da disturbi mentali tali da concedere le attenuanti generiche: è questa la valutazione dei giudici della Corte d’Assise d’Appello di Milano nei confronti di Alessia Pifferi, condannata per aver lasciato morire di sete e di fame la figlia Diana, di soli 18 mesi, nell’estate del 2022. La piccola era stata abbandonata per sei giorni, mentre la madre si trovava in vacanza fuori Milano con un uomo.
In primo grado, Pifferi era stata giudicata “capace di intendere e di volere” e condannata all’ergastolo per omicidio volontario aggravato dal rapporto di filiazione. Secondo quella sentenza, la donna aveva agito con “dolo diretto”, lasciando la bambina da sola con “due biberon di latte, due bottigliette d’acqua e una di teuccio”. La Corte d’Assise aveva escluso l’aggravante della premeditazione, ma la gravità del fatto non aveva lasciato spazio ad attenuanti.
Ora, il meccanismo delle attenuanti cambia radicalmente l’esito. I giudici d’Appello, pur confermando che la madre non fosse del tutto incapace di intendere e di volere, hanno riconosciuto che la donna presentasse disturbi mentali tali da incidere, almeno in parte, sul suo comportamento. In virtù di queste attenuanti generiche, la pena viene ridotta da ergastolo a 24 anni di reclusione, ossia il massimo previsto per l’omicidio semplice, senza aggravanti residue.
Le conclusioni della perizia
Determinante nella nuova sentenza è stata la perizia d’ufficio disposta dalla Corte d’Appello e affidata a un collegio di esperti composto dallo psichiatra Giacomo Francesco Filippini, dal neuropsichiatra infantile Stefano Benzoni e dalla neuropsicologa Nadia Bolognini. Dopo mesi di osservazioni cliniche in carcere a Vigevano, test cognitivi e l’analisi dei documenti scolastici di Pifferi, gli specialisti hanno delineato un quadro complesso, ma non invalidante.
Nelle conclusioni si legge che in Alessia Pifferi è “settoriale la sua fragilità cognitiva”, una condizione che, “accompagnata da immaturità affettiva”, rappresenta “residuo di disturbi del neurosviluppo” risalenti “all’infanzia-adolescenza e complessivamente evoluti in senso migliorativo in età adulta”. Tuttavia, questo “deficit cognitivo è scarsamente incidente” e “non invalida significativamente il suo funzionamento psico-sociale”.
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