Al Sud 100mila nuovi occupati under 35 grazie a Pnrr e bonus edilizi. Ma altri 175mila sono emigrati
- Postato il 27 novembre 2025
- Economia
- Di Il Fatto Quotidiano
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Il Piano nazionale di ripresa e resilienza e i bonus edilizi hanno contribuito in maniera decisiva a quello che può essere definito un boom di occupazione nel Mezzogiorno negli ultimi quattro anni. A beneficiarne sono stati anche i giovani, con 100mila nuovi occupati under 35 dalla ripresa post-Covid a oggi. Eppure, questo non ha arrestato l’aumento dell’emigrazione, soprattutto di giovani laureati. Così come, nell’ultimo anno, al Sud non si è fermata la crescita del lavoro povero, spinto soprattutto dalla concentrazione di posti di lavoro in settori a bassi salari come il turismo.
Il quadro è tracciato nel consueto rapporto annuale della Svimez, associazione per lo sviluppo industriale del Mezzogiorno. Il rapporto è stato illustrato giovedì al Palazzo dei gruppi parlamentari dal direttore generale Luca Bianchi e racconta le solite contraddizioni dell’economia meridionale, portando anche un chiaro avvertimento: nel 2027, conclusi gli effetti del Pnrr, il Sud tornerà a crescere più lentamente rispetto al Centro-Nord, ponendo fine alla positiva anomalia di questi anni in cui è successo il contrario.
La grande occasione del Piano di ripresa è quindi stata sfruttata solo in parte. A fronte di una crescita sostenuta, non sono stati risolti i problemi sociali più sensibili, anzi in alcuni casi si sono persino aggravati. La crescita di occupati nel Sud, tra il 2021 e il 2024, è stata dell’8%, contro il 5,4% nel resto d’Italia. Tuttavia, dalle Regioni meridionali, sono emigrati nel triennio ben 175.333 persone con età compresa tra i 25 e i 34 anni, in aumento rispetto alle 167.693 andate via nei tre anni precedenti. Il Sud continua a perdere laureati attraverso un meccanismo che favorisce il Nord: nel triennio, 23.446 persone con un titolo universitario sono emigrate dal Sud al Centro-Nord, che quindi ha più che compensato la perdita di 10.847 laureati emigrati all’estero. Secondo la Svimez, la perdita di queste competenze costa 7,9 miliardi di euro all’anno al Sud.
Il boom di posti di lavoro al Sud nasconde quindi altri dettagli non positivi. Il primo è che il principale settore che ha spinto la crescita è il turismo, quindi un comparto a basso valore aggiunto e scarse retribuzioni, il quale concentra un terzo dell’incremento. Più incoraggiante l’aumento del 13,6% nei settori tecnologici (Ict) e l’8,8% nel pubblico impiego, circostanza quest’ultima resa possibile dal potenziamento dei servizi pubblici. Al Sud, sei su dieci dei nuovi occupati ha una laurea. Questi dati settoriali fanno pensare che molti di loro hanno trovato opportunità che non sempre valorizzano il titolo di studio conseguito. “Finché il principale canale di ingresso nel mercato del lavoro continuerà a essere offerto dai settori a più basso valore aggiunto – chiosa il sommario del rapporto – il Mezzogiorno non riuscirà a valorizzare pienamente il proprio capitale umano”.
Ecco perché nell’ultimo anno si è verificato ancora una volta il paradosso solo apparente dell’aumento di occupazione accompagnato da una crescita del lavoro povero, passato dal 18,9% al 19,4%. La perdita di potere d’acquisto delle retribuzioni ha colpito il Sud più del Centro-Nord: il calo nel Mezzogiorno è del 10,2% rispetto all’8,8% nazionale. La performance peggiore è dovuta soprattutto a due fattori: il primo sono le buste paga che crescono più lentamente, il secondo è l’inflazione che ha un impatto maggiore sui bassi redditi. Chi guadagna meno, infatti, destina una percentuale maggiore dei suoi redditi ai beni di prima necessità. Quando i prezzi di questi prodotti crescono, è quindi più colpito.
La spinta delle costruzioni, tra bonus e Pnrr, ha avuto effetti maggiori al Sud. Ecco perché da anni il tasso di crescita meridionale è migliore rispetto a quello del resto del Paese. Svimez prevede che anche nel 2026 questa dinamica proseguirà, con Pil in salita dello 0,9% al Sud, grazie al consolidamento degli investimenti pubblici, e 0,6% al Centro-Nord. Già dal 2027, però, la stima dice che si invertiranno i valori in maniera perfettamente speculare. Nel biennio appena passato, il Pnrr ha contribuito con 1,1 punti alla crescita del Pil. Nel 2025-2026 raggiungerà 1,7 punti di contributo, quote sempre maggiori rispetto al Centro-Nord. Questo anche se l’esecuzione del Piano al Sud risulta un po’ più lenta, come testimonia il monitoraggio avviato da Svimez con l’associazione dei costruttori Ance. Il 16,2% dei progetti al Sud è in fase finale, quella del collaudo, mentre al Centro-Nord arriva al 25,1%.
Un altro motivo per cui il Sud ha avuto buoni dati di occupazione è legato all’industria, che nel Mezzogiorno è meno esposta agli choc globali. Svimez avverte però che servono interventi per non invertire la rotta tracciata dal Pnrr. Ecco perché l’associazione suggerisce una serie di settori che potranno consolidare la crescita: il social housing, che permetterebbe anche di intervenire sul crescente problema dell’emergenza abitativa, il sostegno alle grandi imprese, il ruolo cruciale del Sud nella transizione energetica.
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