Al Frac, Cicale, Boccarossa e la visione dell’artista
- Postato il 25 luglio 2025
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Il Quotidiano del Sud
Al Frac, Cicale, Boccarossa e la visione dell’artista
Ha preso il via il nuovo format del FRAC – Festival di Ricerca per le Arti Contemporanee, “Cicale” e debutta con Giulia Boccarossa
Ha preso il via il nuovo format del FRAC – Festival di Ricerca per le Arti Contemporanee che ha il nome di Cicale, una iniziativa che vuole aprire così uno spazio dedicato alla sperimentazione formativa e curatoriale, in luoghi capaci di generare processi culturali profondi e radicati.
Il format debutta con “Il ritmo delle immagini. Pensare e progettare il libro fotografico”, workshop residenziale a cura della graphic designer Giulia Boccarossa, a Zervò, nel cuore dell’Aspromonte. Boccarossa è una giovane graphic designer indipendente, specializzata in libri d’arte, fotografia e allestimenti museali. Originaria di Pesaro, vive e lavora tra Milano e Roma. I suoi progetti sono stati selezionati ai Les Rencontres d’Arles Book Awards (2020, 2023) e ai PHoto ESPAÑA Awards (2023, 2024).
I suoi lavori sono stati esposti in contesti prestigiosi, tra cui la mostra “Il mestiere di grafico oggi” alla Triennale di Milano (2023) e “Made in Italy NYC” alla One Art Space Gallery di New York (2024). Nel 2025 è stata membro della giuria internazionale del prestigioso premio Best Book Design from all over the World, promosso dall’associazione tedesca Stiftung Buchkunst.
Tutor di graphic design per la terza e quarta edizione della PhMuseum’s Photobook Masterclass FOLIO, insegna Graphic, Editorial and Type Design presso lo IED e la RUFA a Roma.
Innamorata della Calabria da quando venne la prima volta nel 2021 adesso la incontriamo per parlare del libro fotografico e di come sta cambiando nel mondo.
Hai aderito con entusiasmo al format Cicale. Cosa ne pensi di questa iniziativa?
«Prima di tutto mi fa sempre piacere quando nasce qualcosa di nuovo che viene da un’organizzazione che si occupa di arte in generale. Poi mi è piaciuto principalmente il fatto di essere una vera scommessa, sia per il tema e sia per il luogo. Molto spesso si organizzano queste cose a Milano o Zurigo, invece fare un workshop sul libro fotografico in una zona bellissima come l’Aspromonte ma più difficilmente raggiungibile, ha già il sapore della scommessa. Inoltre, il libro fotografico oggi è totalmente cambiato, si è arricchito, come puoi immaginare di molti media collaterali, come l’illustrazione ed il testo, e non solo della fotografia. Poi è una scommessa anche per me che devo organizzare il workshop e capire cosa vogliono fare, e soprattutto non fare, quelli che parteciperanno. Sarà un venirsi incontro ed uno scoprirsi momento per momento».
Sei una graphic designer di livello internazionale. Come si svolge il tuo lavoro oggi?
«Diciamo che da pochi anni, specie dall’anno scorso con l’Università, sono anche una docente, cioè, formo altre persone, e questa cosa mi fa sempre mettere in discussione, perché mi dico che posso sempre migliorare con l’aumentare dell’esperienza, dello studio, che in casi come il mio, ma anche altri non finisce mai. Quindi devo sempre essere pronta a stimoli nuovi e formazione continua. Cerco di tenermi continuamente aggiornata sul mondo dell’editoria in generale, specialmente quella indipendente, per comprendere quali sono le vie che può intraprendere.
C’è molto fermento, l’editoria non è vero che è in crisi, almeno quella di cui mi occupo io, che è legata ad istituzioni, fondazioni, musei, collezioni, ecc. Io ho iniziato a muovermi in questo mondo per caso, prima era molto autoproduzione, adesso il processo è totalmente cambiato, grazie ad un’onda che è partita proprio dall’editoria indipendente e dal Nord Europa, mentre quella tradizionale mi sembra personalmente un po’ stantia».
A questo proposito cosa pensi della situazione dell’editoria e della cura editoriale attualmente?
«Ho avuto l’onore e la fortuna di essere in giuria alla finale del Best book design all over the World, che raccoglie il meglio della produzione internazionale, non solo europea. Questo, insieme a tutto il mio lavoro di ricerca, mi dà la possibilità di essere in un osservatorio privilegiato e vedere quali sono le idee migliori. Oggi c’è una internazionalizzazione molto forte, ma vediamo che l’Asia, specialmente il sud est asiatico, ma anche la Cina, stanno dando impulsi sembra più importanti ed interessanti. C’è un’idea di libro sempre diverso, anche legato ad un uso diverso dei materiali, magari anche legate a grafiche molto semplici, ma che puntano su materiali anche che richiamano al passato. Abbiamo premiato anche dei libri che proponevano dei concept ben fatti e ben realizzati, ma sicuramente diversi. Io ho percepito che in Asia c’è questa idea di contaminazione e sperimentazione un po’ più forte».
Come è cambiato l’oggetto libro fotografico in questi ultimi anni?
«È cambiato tantissimo. L’oggetto libro è una questione che nasce tipo dagli anni ‘30, che ci è arrivato come influenza dal Nord Europa, dall’America, un po’ anche dall’URSS. E poi trasversalmente è arrivato qua in Italia come catalogo , quasi un contenitore di immagini, perché c’era l’idea che la fotografia non fosse un’arte primaria come la pittura ad esempio. Il libro fotografico poi è diventato uno strumento quando alla fotografia è stato attribuito lo status di arte che testimoniava la realtà, questa sulla scorta dell’influenza francese. Si è usciti dal concetto di catalogo, di racconto di una mostra, di collezione, a qualcosa si totalmente diverso.
Se penso ai libri di William Klein penso a quello come libro fotografico, o tornando all’Asia a quelli di Daido Moriyama, penso a quelli come libri fotografici, che esulano dal concetto di collezione ed invece una progettazione editoriale, una cura del layout talmente importanti e necessari ad una narrazione. Non possiamo dimenticare che c’è differenza fra un catalogo ed un libro fotografico. Hanno una funzione diversa, una funzione diversa proprio nel voler passare una funzione di testimonianza ad una di narrazione personale differente, dove l’autore mette mano direttamente alla curatela; quindi, che dietro ha una poetica diversa».
Che cosa vuol dire cura per te?
«Io cerco di farmi carico della visione dell’artista. Farmi carico di trasmettere un messaggio e capire come poter trasmettere nella maniera migliore possibile, facendo attenzione a rispettare la visione dell’artista e i materiali che mi vengono proposti, la storia che mi viene raccontata e per evitare poi di banalizzare quello che poi è traduzione a livello formale del messaggio di quello che è il materiale. Curare vuol dire prestare attenzione a come ti relazioni con le persone che si relazioneranno con quei materiali e tu con quelle persone, quindi a tutti una serie di connessioni possibili».
Il Quotidiano del Sud.
Al Frac, Cicale, Boccarossa e la visione dell’artista