Ahmed Taha e i suoi fratelli: coraggio e politica, le storie dei calciatori arabo-israeliani che hanno scelto la Palestina

  • Postato il 20 aprile 2025
  • Calcio
  • Di Il Fatto Quotidiano
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Al 33esimo, sul punteggio di 2-0 per la Giordania, Ahmed Taha scatta sulla sinistra e sforna un assist perfetto per il gol di Tarem Seyam, che rianima la Palestina, anche se poi i padroni di casa allungheranno di nuovo, imponendosi per 3-1. È il suo debutto con la nazionale della Palestina. Eppure ad attraversarlo non è solo l’adrenalina della partita. Perché Taha non è un giocatore qualunque: milita nello Sport Club Kafr Qasim, squadra della seconda divisione israeliana, ed è cittadino israeliano. Al triplice fischio finale, anche se in realtà le avvisaglie c’erano già state prima, scoppia la bufera politica. Il Ministro israeliano della Cultura e dello Sport, Miki Zohar, non usa il fioretto: “Inaccettabile che un cittadino israeliano rappresenti una nazionale rivale”, tuona, infiammando i social. Ahmed Taha, senza ancora aver segnato nemmeno un gol per la Palestina, è già diventato simbolo e bersaglio allo stesso tempo.

Il suo, però, è solo l’ultimo caso di una lunga serie di calciatori che si muovono lungo uno dei confini più incandescenti e discussi del pianeta, sospesi a metà tra Israele e Palestina. In questo intricato crocevia di appartenenze, divieti e scelte coraggiose, il calcio trascende la dimensione sportiva e diventa inevitabilmente anche un atto politico. Taha è in buona compagnia. Dal 2011, decine di calciatori cresciuti nel calcio israeliano hanno rappresentato la nazionale palestinese, dopo essersi trasferiti per giocare nella Palestinian West Bank Premier League.

A fare da apripista per la prima divisione israeliana, nel 2021, è stato Rami Hamadeh. Il portiere è nato in Israele, a ShefaAmr, ma ha fatto tutta la trafila delle nazionali giovanili palestinesi, oltre ad aver speso quasi l’intera carriera al servizio di squadre palestinesi. Nel 2020, però, ha firmato un contratto biennale con il Bnei Sakhnin, il principale club arabo-israeliano, diventando nel marzo dell’anno successivo il primo giocatore della Israeli Premier League a vestire la maglia della nazionale palestinese. “È un sogno che si avvera”, raccontava Hamadeh al portale specializzato BabaGol, prima di unirsi al ritiro dei Leoni di Canaan a Gerico. “Il club l’ha presa molto bene. È un momento molto importante per me e sono così emozionato di riunirmi con gli amici della nazionale”. Da allora è tornato a giocare nella lega della Cisgiordania, conquistando nel 2022 il titolo palestinese con lo Shabab al-Khalil di Hebron.

Un altro caso emblematico è quello di Ataa Jaber. Ex capitano della nazionale israeliana Under-21, ed ex giocatore del Maccabi Haifa ora al Qatar SC, nel 2023 ha scelto di rappresentare la Palestina. Originario di Majd al-Krum, una città araba dell’Alta Galilea, Jaber ha maturato questa decisione dopo aver assistito agli scontri nel quartiere di Sheikh Jarrah a Gerusalemme, teatro di una lunga e annosa disputa: “Non si può separare la politica dallo sport“, ha spiegato. Dopo aver deciso di sposare la causa palestinese, Jaber ha dovuto attendere per due anni un documento di viaggio rilasciato dall’Autorità Nazionale Palestinese, esordendo nel giugno del 2023 in una gara amichevole con l’Indonesia. “Ho preso la decisione di rappresentare la squadra palestinese per molte ragioni. Primo perché sono palestinese, secondo perché ho la possibilità di farlo e terzo per trasmettere un messaggio ai giocatori all’interno della Green Line che questa scelta è nella loro facoltà”, ha concluso Jaber in un’intervista concessa a The Times of Israel.

Il caso ancora più singolare dei fratelli Abdallah e Mahmoud Jaber per certi versi ricorda un po’ quello dei più noti e celebri fratelli Boateng. E offre un’altra prospettiva sulla complessa questione dell’identità sportiva e non solo a queste latitudini. Vissuti nella città arabo-israeliana di Taybeh, e cresciuti all’interno di una famiglia musulmana, ad un certo punto si sono separati, scegliendo di percorrere strade diverse di carriera. Abdallah, infatti, è stato un iconico capitano della nazionale palestinese. Mahmoud, il fratello minore, invece, nel 2022 ha ricevuto la prima convocazione con la nazionale israeliana, debuttando in una gara di Uefa Nations League con l’Islanda.

Nessuno meglio di Abdallah Jaber – che gioca da terzino sinistro – può sapere cosa significhi essere un calciatore araboisraeliano. Il passaporto israeliano, per dire, nel 2016 gli ha fatto naufragare una trattativa ben avviata con una squadra della Premier League egiziana. Inoltre, essere stato il primo giocatore ad aver tagliato lo storico traguardo delle 35 presenze con i Leoni di Canaan, non lo ha messo al riparo dalle critiche quando, nel 2020, ha lasciato l’Ahli-Al Khalil, firmando per gli israeliani dell’Hapoel Hadera. “Sono veramente stupito“, ha confessato al Times of Israel. “Lì dicono che non siamo veramente palestinesi e qui dicono che non siamo veramente israeliani”.

Tutto ciò testimonia la difficoltà e le sfide che sono chiamati ad affrontare quotidianamente i giocatori araboisraeliani. Non è solo una questione calcistica. Non può esserlo, ovviamente. Incastrati nella bolla di un contesto così intricato, diventato ancora più rovente dopo l’offensiva su Gaza lanciata da Israele dopo gli attacchi del 7 ottobre 2023, trovare il giusto punto d’equilibrio tra aspirazioni sportive e pressioni politiche non è una missione semplice.

Ultimamente, però, la pattuglia di giocatori arabo-israeliani della nazionale palestinese sta diventando sempre più nutrita. Probabilmente, oltre a tutto il resto, su questo stanno incidendo anche i risultati sportivi della Palestina, che si sta riscoprendo sempre più competitiva. Nel 2023, infatti, i Leoni di Canaan hanno raggiunto per la prima volta la fase ad eliminazione diretta della Coppa d’Asia, oltre ad essere approdati (anche qui per la prima volta) alla terza fase delle qualificazioni ai Mondiali. Avanzare ancora è molto complicato, considerando che mancano due gare al termine del percorso e l’Oman ha 4 punti di margine nel girone B delle qualificazioni asiatiche, ma i giocatori palestinesi hanno una motivazione extra. “Giochiamo per i calciatori e per le persone di Gaza che sono state martirizzate e le cui case sono state demolite. È un qualcosa di completamente diverso”, ha dichiarato il capitano Mohammed Rashid. Non è solo calcio. Non può esserlo.

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