Addio Robert Redford, il mondo del cinema perde "il migliore"
- Postato il 17 settembre 2025
- Spettacoli
- Di Libero Quotidiano
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Addio Robert Redford, il mondo del cinema perde "il migliore"
È morto nel sonno, nella sua casa nello Utah, Robert Redford. Aveva 89 anni. Con lui scompare non soltanto un attore amatissimo, ma uno degli ultimi giganti di Hollywood, capace di attraversare oltre mezzo secolo di cinema senza mai perdere autenticità. Biondo, occhi di ghiaccio, fascino naturale, Redford non fu mai il “duro” di Hollywood, alla Clint Eastwood o alla Steve McQueen. Preferì incarnare un’altra idea di mascolinità: sensibile, malinconica, intellettuale.
Più che un divo, un uomo che seppe fare della sua bellezza uno strumento. Il successo arrivò negli anni Sessanta, quando conquistò Broadway e poi Hollywood. Da allora Redford divenne uno dei volti più riconoscibili del cinema americano, capace di legare il suo nome a titoli entrati nell’immaginario collettivo, ma senza mai indulgere nella caricatura della star. Recitava con naturalezza, senza forzature, dando ai personaggi una grazia che sembrava innata. Non era virtuosistico né sopra le righe, ma sapeva riempire lo schermo con lo sguardo, con un gesto minimo, con la sobrietà che lo rese unico. La regia gli offrì presto un’altra consacrazione. Con Gente comune, il suo debutto dietro la macchina da presa, vinse l’Oscar nel 1980.
Non si trattava di un colpo di fortuna, ma della prova che Redford sapeva anche guidare storie difficili, raccontare l’America con rigore morale e sensibilità. Nei suoi film da regista ritroviamo sempre la tensione a misurarsi con l’anima di un Paese contraddittorio, tra illusioni e fallimenti. Eppure il lascito più duraturo di Redford si trova lontano dal set. Nel 1981 fondò il Sundance Institute e poco dopo il Sundance Film Festival. Quella scelta cambiò la geografia del cinema mondiale.
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Sundance divenne subito un rifugio per il cinema indipendente, uno spazio dove autori allora sconosciuti trovarono visibilità e futuro. Tarantino, Soderbergh, Jarmusch, Paul Thomas Anderson: tutti devono molto a quell’isola di libertà creata da Redford nello Utah. In un’America dominata dagli Studios, lui scelse di dare voce a chi non l’aveva.
Non inventò il cinema indipendente, ma gli diede una casa. Fu anche un ambientalista convinto, difese la natura, i diritti delle minoranze, la diversità culturale. Negli anni Settanta si oppose alla costruzione di autostrade e centrali a carbone, più tardi criticò la scelta di Trump di ritirare gli Stati Uniti dall’accordo di Parigi sul clima. Sempre controcorrente, anche quando la sua posizione gli attirava, a volte, giuste polemiche. Le rughe che gli segnarono il volto negli ultimi decenni non furono mai un imbarazzo. Erano semmai la sua bandiera: rifiuto della chirurgia, rifiuto di una Hollywood che liscia le facce e cancella il tempo. Redford preferì mostrarsi per ciò che era: un uomo che aveva vissuto, osservato, amato. La bellezza giovanile di Il grande Gatsby lasciò posto alla severità matura di un volto scolpito dal sole e dal vento. Lui stesso lo considerava un atto politico, un modo per dire no all’industria delle apparenze.
La notizia della morte ha scosso il mondo. Tra i primi a ricordarlo è stata Meryl Streep, che con lui condivise il set di La mia Africa: «Uno dei leoni se n’è andato. Riposa in pace, mio caro amico», ha dichiarato l’attrice. Anche Donald Trump, presidente spesso da lui criticato, ha voluto rendergli omaggio: «Ci sono stati anni in cui non c’era nessuno migliore di lui. Per un certo periodo è stato il più sexy». Hillary Clinton, invece, lo ha definito «un campione dei valori progressisti come la difesa dell’ambiente e l’accesso alle arti, una vera icona americana», ricordando con una foto gli anni della Casa Bianca al fianco del marito Bill. Il suo ultimo grande ruolo resta quello di Old Man & the Gun, dove interpreta un anziano rapinatore gentiluomo. Un film che è un autoritratto: dolce, ironico. Con Redford se ne va un uomo che ha trasformato la celebrità in strumento di libertà: un Golden Boy che non ha mai voluto restare tale, e che proprio per questo resterà un gigante.
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