Addio a Gulen, la mente del tentato golpe del 2016 che rafforzò Erdogan 

  • Postato il 21 ottobre 2024
  • Di Agi.it
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Addio a Gulen, la mente del tentato golpe del 2016 che rafforzò Erdogan 

AGI - İl magnate e imam turco Fetullah Gulen, ritenuto in Turchia la mente del tentato golpe del 2016, ragione alla base delle ripetute richieste di estradizione avanzate dal governo di Ankara e più volte rifiutate dagli Usa, è morto all'età di 83 anni negli Stati Uniti per una insufficienza renale.

 

İl magnate, che ha incentrato il proprio impero sulla ideologia diffusa attraverso sermoni, ma soprattutto su una rete di scuole fondate in Paesi dei Balcani, Asia Centrale, Caucaso e Turchia, viveva dal 1999 in una grande tenuta in Pennsylvania. Inizialmente trasferitosi negli Usa per motivi di salute, decise poi di stabilirsi in America per evitare indagini giudiziarie e persecuzioni da parte dei militari. 
 

Chi era Gulen

Fetullah Gulen nasce in provincia di Erzurum, nel nord est della Turchia nel 1941 e le informazioni relative alla sua educazione si fermano, ufficialmente, ai cinque anni della scuola elementare. Ciò che si sa per certo è che riceve un certificato grazie al quale può predicare come imam, impegno che svolge regolarmente, prima ad Edirne e poi ad Izmir, fino al 1971, anno in cui viene arrestato con l'accusa di svolgere "attività religiose clandestine". Da quel momento in poi i militari ne seguiranno con zelo ogni singola iniziativa, rendendogli la vita sempre più difficile.

 

Almeno fino al 1981, anno in cui, dopo il golpe del 1980, Gulen si ritira dal ruolo di imam, almeno ufficialmente. Nel 1999 si auto-esilia negli Usa per non tornare mai più in Turchia. All'inizio sono ragioni di salute a spingerlo oltre Oceano, tuttavia i buoni rapporti con le amministrazioni americane e i tanti problemi in patria gli suggeriscono di rimanere e a seguire le vicende del suo Paese dalla sua tenuta in Pennsylvania. Il suo potere deriva dal peso finanziario, aspetto che spesso ha fatto parlare di lui come del 'Soros turco'. Il suo è un capitale stimato in 25 miliardi di dollari, architrave di una rete di banche, agenzie di intermediazione e analisi finanziaria, televisioni, testate editoriali, associazioni, fondazioni, scuole, università e alloggi studenteschi.

 

Le istituzioni scolastiche, insieme al suo impero economico ed ai media di sua proprietà, sono il vettore del Gulen-pensiero, l'ideologia uniformante l'intero movimento. Basata sugli insegnamenti di sufi come Jalal al-Din Rumi e Yunus Emre le cui idee si fondano sulla tolleranza e sulla moderatezza, egli, a partire dagli anni Settanta, elabora una dottrina attraverso cui l'Islam può armonizzarsi alla modernità, avvicinarsi all'Occidente e coniugare un equilibrato conservatorismo religioso con tecnologia e bioetica. Il Gulen pensiero è stato spesso acclamato come esempio di Islam moderato e ha assunto forti connotazioni anti arabe, anti iraniane, anti curde, ma filo israeliane e, più in generale, filo occidentali.

 

Una dottrina che si basa anche sulla grande vicinanza sviluppata negli anni da parte dello stesso Gulen con l'establishment Usa e in particolare la famiglia Clinton e Bush. 2002-2010: gli anni dell'alleanza con Erdogan La necessità di far fronte comune contro il nemico rappresentato dall'esercito e il desiderio di ampliare la propria sfera di influenza sono le componenti alla base del binomio tra il presidente turco Recep Tayyip Erdogan e Gulen, le basi per una collaborazione che negli anni a seguire darà i suoi frutti. Erdogan diviene premier nel 2023 e a partire da quello stesso anno diverse indagini della polizia, congiunte a inchieste della magistratura, iniziano a minare l'immagine stessa dei militari e il relativo ruolo esercitato sulla nazione di guardiani della laicità.

 

 

A seguire, l'esplosione di inchieste giudiziarie come Ergenekon e Balyoz (2008 e 2010), hanno rivelato la presenza di presunte organizzazioni che nell'ombra tramavano contro il potere dell'Akp e imbastivano piani tesi a mettere in atto una sorta di strategia del terrore e rovesciare l'ordine costituzionale. Queste inchieste hanno avuto l'effetto di neutralizzare e infangare alti esponenti dell'esercito, magistrati e accademici laici. Indagini di cui, anni dopo, sarà lo stesso Erdogan ad accusare Gulen.

 

Quello che il presidente turco non dirà saranno però i vantaggi che lui stesso e il suo partito trarranno da queste inchieste. A mettersi in luce è infatti una generazione di magistrati (ma anche di militari e poliziotti, burocrati e politici) provenienti dalle classi medio basse del centro dell'Anatolia, che hanno potuto accedere a una buona istruzione grazie a borse di studio offerte dalle scuole di Gulen, che hanno permesso loro di vincere concorsi e ricoprire cariche all'interno della magistratura.

 

Una strategia che ha portato gli uomini di Gulen a occupare posizioni importanti all'interno di magistratura, difesa, forze dell'ordine, esercito e pubblica amministrazione in cui il partito di Erdogan aveva un disperato bisogno di alleanze per emergere. Questa progressiva perdita di potere e influenza da parte dei militari ha permesso all'Akp di promuovere e stravincere il referendum del 2010, attraverso il quale veniva pesantemente riformata la Costituzione del 1982, figlia del colpo di stato militare del 1980, e fondamento del potere dei militari in Turchia.

 

Questi emendamenti hanno operato un significativo trasferimento del controllo e del potere di nomina dei vertici e dei Giudici Costituzionali nelle mani dell'esecutivo in carica, rimettendo in capo alle corti civili gli esponenti dell'esercito per i reati commessi al di fuori dell'esercizio delle proprie funzioni. Mentre l'esercito subiva colpi durissimi, i giudici pro-Gulen rafforzavano le proprie posizioni all'interno delle istituzioni giudiziarie, offrendo una sponda sempre più sicura al partito di Erdogan.

 

D'altro canto, il benefit reciproco consisteva anche nella scalata al potere che politici vicini a Gulen potevano compiere all'interno del partito Akp di Erdogan e dello stesso Parlamento. A un certo punto, però, qualcosa si rompe. 2011: fine del sodalizio. Quando vengono presentate le liste elettorali del partito Akp di Erdogan, alla vigilia delle elezioni del 2011, circa 60 politici considerati da sempre vicini alle posizioni di Fethullah Gulen ne rimangono fuori. Contemporaneamente l'intero pacchetto di riforme presentato dall'Akp per modernizzare la pubblica amministrazione finisce per essere il mezzo attraverso cui elementi vicini a Gulen vengono rimossi dai propri incarichi e uffici.

 

Si può considerare un primo "repulisti", che coinvolge parlamento e pubblica amministrazione, particolarmente caro a Gulen. L'Akp di Erdogan ha infatti nel frattempo sviluppato una propria rete di uomini formatisi nelle università e non solo, che hanno sposato la causa di Erdogan e sono pronti a scalzare i seguaci del magnate negli Usa. Allo stesso tempo gli appalti più importanti, i contratti più remunerativi, finivano nelle mani di imprenditori vicini all'Akp, lasciando alle imprese di Gulen solo briciole. Un colpo durissimo, che finisce con investire anche il settore dei media.

 

Nel 2009, infatti, il gruppo Dogan, il principale detentore delle partecipazioni nei media turchi, finisce in una crisi finanziaria che lo porta sull'orlo della bancarotta e lo costringe a mettere in vendita alcune tra le principali testate editoriali e reti televisive. Per scongiurare la prospettiva che il gruppo di Gulen potesse assumere il controllo del gruppo Dogan il Parlamento interviene con un decreto, grazie al quale l'enorme debito del gruppo Dogan veniva spalmato e ridotto, mettendo cosi' l'intero gruppo al sicuro dal fallimento.

 

In cambio, Erdogan otterrà il favore di questi media nei confronti del governo, l'inserimento di propri uomini nei consigli di amministrazione e l'allontanamento di giornalisti a lui invisi e critici nei suoi confronti perché vicini a Gulen. L'inizio del conflitto tra Erdogan e Gulen. All'inizio del 2012 a finire sotto indagine è l'attuale ministro degli Esteri Hakan Fidan, all'epoca dei fatti capo dei servizi segreti turchi (Mit), e altri cinque fedelissimi del presidente turco, premier all'epoca dei fatti. Erdogan è costretto a far approvare in fretta una legge per toglierli dai guai e per evitare che venissero ascoltati dai giudici.

 

Nel mirino di Gulen il processo di pace in corso con i separatisti curdi del Pkk, fortemente voluto da Erdogan e Fidan, ma inviso al magnate. L'ipotesi del pm è che uomini del Mit fossero al corrente di una strage di civili curdi avvenuta all'inizio del 2012. Tuttavia, l'effetto ottenuto ha avuto conseguenze sia dirette che indirette. Si è voluto colpire direttamente Erdogan, privandolo dei suoi fedelissimi nelle alte sfere dei servizi segreti: una dichiarazione di guerra vera e propria di Gulen, attraverso i propri uomini che siedono nelle alte sfere della magistratura.

 

Da quel momento in poi sarà guerra aperta, una guerra che il presidente ha man mano mostrato di poter vincere, con i risultati elettorali a dargli ragione, mentre inchieste giudiziarie colpivano gli apparati dello stato facendo piazza pulita dei presunti fedeli di Gulen. La sua organizzazione diviene nella dialettica politica turca "la struttura parallela", un apparato sovversivo infiltrato in media, politica, magistratura, università, polizia, amministrazione pubblica ed esercito. Un cancro da debellare e combattere alla pari di Isis e Pkk. Nel gergo politico turco la sigla FETO sostituisce "la struttura parallela" e indica l'organizzazione terroristico sovversiva di Gulen. Da quel momento in poi per l'Akp non ci sara' alcuna distinzione tra Isis, Pkk e quest'ultima.

 

Prima del tentato golpe del 15 luglio 2016 ulteriore atto della lotta tra Erdogan e Gulen è stato la tangentopoli turca del dicembre 2013, un'indagine per corruzione che colpirà uomini d'affari e politici dell'Akp, fino a coinvolgere il figlio dell'allora premier Erdogan, Bilal. Un'indagine della quale Erdogan ha sempre accusato Gulen di esserne il burattinaio. La carcerazione e il processo a carico del direttore del quotidiano di opposizione Cumhuriyet, Can Dundar, del 2015 si basava sull'accusa di "propaganda a favore di organizzazione terroristica", nel caso specifico FETO.

 

Secondo l'accusa infatti, il video del passaggio di armi attraverso il confine sarebbe stato realizzato da militari vicini a Gulen, che hanno fermato un carico coperto da segreto di stato e diffuso il video a pochi giorni dalle elezioni per influenzarne il risultato. Il commissariamento e la chiusura del quotidiano Zaman, principale bocca del Gulen pensiero e per più di un decennio quotidiano più letto di tutta la Turchia, rappresenta l'esempio emblematico della lotta per il potere in Turchia. Il giornale era passato dal sostenere il governo Erdogan a una aspra critica e opposizione, seguendo l'evoluzione dei rapporti tra lo stesso leader turco e Gulen.

 

La retata in redazione, poi il commissariamento con il cambio a 360 gradi della linea editoriale, in ultimo la chiusura del quotidiano di proprietà di Gulen, sono l'emblema di una contesa che continua, nella quale Erdogan non è disposto a cedere un centimetro, lasciando tuttavia il dubbio che l'accusa di essere membri della "struttura parallela" non sia solo il mezzo per disfarsi delle voci critiche verso il partito e incrementare il proprio potere di volta in volta. Il fallito golpe del 2016, di cui Gulen è considerato la mente e l'organizzatore, non avrà come conseguenza solo i più di 300 morti di quella notte.

 

Il tentato golpe permeerà la storia e il futuro della Turchia. Erdogan è furioso, punta il dito contro il magnate residente negli Usa e da il via a un giro di vite spietato, che ha costretto al carcere decine di migliaia di persone che, anche nei casi di rilascio, non hanno più potuto occupare le posizioni precedentemente rivestite. A questi si aggiungono altre decine di migliaia di sospensioni da incarichi in pubblica amministrazione, scuole e università, magistratura, esercito e forze dell'ordine. 

 

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Autore
Agi.it

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