Acquappesa, dopo le armi i proiettili: sequestrate 10mila munizioni
- Postato il 16 luglio 2025
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Il Quotidiano del Sud
Acquappesa, dopo le armi i proiettili: sequestrate 10mila munizioni
Diecimila munizioni sequestrate presso lo studio balistico di Acquappesa dove negli scorsi giorni la Procura ha sequestrato decine di armi, l’inchiesta si allarga
ACQUAPPESA (COSENZA) – C’è un silenzio assordante, attorno allo studio balistico di via Marina ad Acquappesa sul quale, da qualche settimana, si sta scrivendo una delle pagine più oscure e controverse della cronaca calabrese recente.
Dopo il primo sequestro di un impressionante numero di armi da fuoco con matricola abrasa– fucili, pistole e mitragliatori – conservate in quello che era l’ufficio di un noto perito deceduto tre anni fa, nuovi dettagli emersi dalla perquisizione stanno alimentando interrogativi sempre più inquietanti. Quello che è stato rinvenuto negli scorsi giorni va ben oltre quanto inizialmente emerso: oltre 10.000 munizioni, di cui almeno la metà per armi da guerra – calibro 7,62, compatibile con i famigerati Kalashnikov – e 20 caricatori sempre per lo stesso tipo di arma, insieme a cartucce per pistole e altri armamenti non prettamente militari.
Le munizioni erano confezionate in scatole e buste sigillate, in quantità tali da sollevare dubbi anche presso gli stessi inquirenti: è verosimile che una mole simile di proiettili fosse destinata semplicemente ad attività peritali? La Procura di Paola, guidata da Domenico Fiordalisi, che coordina l’inchiesta, non ha al momento disposto arresti, ma ha iscritto nel registro degli indagati Fernando Mancino, fratello del perito scomparso. È proprio Fernando ad aver fornito, in via informale, la propria versione dei fatti, sostenendo che il materiale sarebbe stato parte di un inventario avviato da tempo, in collaborazione con un maresciallo dei carabinieri in pensione, e che tale attività fosse nota alle autorità.
Una ricostruzione che, tuttavia, non è stata né confermata né smentita ufficialmente dalla Procura. Di certo c’è che, se davvero si fosse trattato di un deposito legato a precedenti perizie, le quantità sarebbero risultate molto più limitate. In genere, nei casi di accertamenti balistici, solo una piccola parte delle munizioni sequestrate venga effettivamente consegnata al perito incaricato. E in nessun caso viene autorizzata la custodia di fucili d’assalto, mitragliette e caricatori militari da parte di civili, per di più per lunghi periodi e in un ufficio privato.
Nasce così una serie di interrogativi che, al momento, restano sospesi: A cosa servivano quelle armi e quelle munizioni? A chi erano destinate? È difficile non farsi suggestionare dall’idea di un arsenale per conto terzi, di una base logistica operante in modo coperto, o di una potenziale rete di traffico sotterraneo in cui l’ufficio balistico avrebbe potuto svolgere un ruolo – magari inconsapevole, forse no – di snodo o di deposito. A complicare il quadro c’è un’ulteriore ipotesi, che prende corpo nelle domande di chi osserva da vicino l’evolversi dell’inchiesta: esistono collegamenti tra questo studio di Acquappesa e le vicende, recenti e meno recenti, che riguardano Cetraro?
Più precisamente: si può stabilire una linea che connetta il ritrovamento di quest’arsenale con le attività criminali attribuite nel tempo al clan Muto, storicamente attivo sul territorio? È una domanda legittima, soprattutto alla luce di un contesto geografico e sociale in cui le dinamiche criminali, anche quelle più sofisticate, non sono mai del tutto disgiunte da certe presenze silenziose e radicate. Le indagini, intanto, procedono nel massimo riserbo, ma con un’intensità che lascia presagire sviluppi anche nel breve termine. L’istruttoria, infatti, è ancora in pieno corso, e non si escludono risvolti importanti già nei prossimi giorni.
Intanto, la vicenda sta scuotendo non solo la società civile, ma anche l’ambiente giudiziario e quello istituzionale. Come è stato possibile che un simile deposito rimanesse nell’ombra per così tanto tempo, privo di controlli e senza che alcuna autorità si interrogasse sul suo contenuto? Il profilo del perito balistico, figura stimata e nota tra le Procure della regione, oggi viene inevitabilmente riletto alla luce di ciò che è emerso. Un nome che, per anni, ha rappresentato un riferimento per le indagini balistiche più delicate, e che ora viene affiancato a quello del fratello, custode designato o semplicemente erede di un archivio che ha finito per diventare qualcosa di molto diverso da una semplice raccolta tecnica.
Se vi siano responsabilità personali o, al contrario, un disegno più ampio ancora tutto da scoprire, sarà compito degli investigatori chiarirlo. Ma quel che è certo è che il ritrovamento di oltre diecimila munizioni e decine di armi automatiche non può essere derubricato a stranezza logistica o dimenticanza burocratica. Troppe armi, troppe domande. E una sola certezza: questa vicenda, che ha preso avvio tra le mura di uno studio tecnico a pochi passi dal mare, rischia di aprire scenari ben più profondi e allarmanti sullo stato della criminalità armata nel Tirreno cosentino.
Il Quotidiano del Sud.
Acquappesa, dopo le armi i proiettili: sequestrate 10mila munizioni