Acciaio sotto assedio: governo contro Procura sul futuro dell’ex llva di Taranto
- Postato il 16 maggio 2025
- Di Panorama
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Il 21 maggio si terrà a Palazzo Chigi un incontro decisivo. Il ministro delle Imprese e del Made in Italy, Adolfo Urso, ha convocato sindacati e ministri per fare il punto su una crisi che rischia di travolgere definitivamente l’ex Ilva. L’ennesimo vertice, l’ennesimo tavolo, ma con un’agenda che ha l’urgenza di una resa dei conti.
“Bisogna trarre le conseguenze di quello che è accaduto“, ha detto Urso. E quello che è accaduto, purtroppo, non è solo un incidente industriale. È l’ennesimo cortocircuito istituzionale. È la fotografia di un Paese che non riesce a difendere il suo apparato produttivo. È l’ultima tappa di una crisi infinita in cui politica, burocrazia e giustizia si sono intrecciate in un nodo che nessuno è riuscito – o ha voluto – sciogliere.
L’altoforno 1 di Taranto è stato sequestrato dalla Procura per motivi ambientali. Urso parla di “gravissima anomalia istituzionale” e accusa apertamente i magistrati di aver bloccato gli interventi tecnici richiesti con urgenza per salvare l’impianto dopo l’incendio del 7 maggio. I documenti, afferma il ministro, dimostrerebbero che le segnalazioni c’erano eccome. Ma sono rimaste senza risposta.
Il risultato è che la produzione dell’acciaieria verrà dimezzata. Da subito. Quattromila operai in cassa integrazione, con una richiesta che potrebbe salire a cinquemilacinquecento. Intere famiglie nell’incertezza. La filiera dell’indotto congelata. Gli ordini industriali sospesi. E l’accordo con Baku Steel, il gruppo azero che sembrava pronto a rilevare l’Ilva, adesso è a rischio. Chi investirebbe in un impianto sotto sequestro, fermo, pieno di incognite legali e senza certezze normative?
Ecco il punto: mentre il governo cerca partner industriali, la magistratura interviene a gamba tesa. Mentre i commissari discutono con i sindacati, i magistrati mettono i sigilli. Lo Stato si fa la guerra da solo. E l’ex Ilva, nel frattempo, affonda. Il risultato? Commissari su commissari. Rotture, ricorsi, ricapitalizzazioni mai sufficienti. Un prestito ponte da 100 milioni sta per arrivare, ma servirà a garantire forse tre mesi di sopravvivenza. Poi, di nuovo, si parlerà di chiusure, esuberi, riorganizzazioni. E nel frattempo le acciaierie italiane perdono competitività, strangolate anche dal costo dell’energia: +40% rispetto alla media europea. Un abisso che rende impossibile qualsiasi piano industriale serio. Non c’è solo Taranto a rischio. Anche a Piombino la situazione è drammatica. I lavoratori di JSW Steel Italy e Liberty Magona hanno proclamato sciopero per il 23 maggio. Denunciano una produttività al minimo e il rischio concreto di collasso finanziario.
L’acciaio italiano boccheggia. E con esso l’idea di una politica industriale degna di un Paese del G7. Urso ha ragione su un punto essenziale: in Costituzione il diritto al lavoro e quello alla salute hanno pari dignità. L’uno non deve prevalere sull’altro. Ma da anni Taranto viene gestita come se il lavoro fosse sacrificabile, un effetto collaterale. Ma se non si cambia rotta, l’unico acciaio che vedremo sarà quello dei cancelli chiusi.