Abuso d’ufficio cancellato, parte da Firenze il primo ricorso alla Consulta: “Violato il diritto internazionale, effetto dirompente sulla Pa”

La norma che ha abolito l’abuso d’ufficio arriverà davanti alla Consulta. Martedì il Tribunale di Firenze ha sollevato la prima questione di legittimità costituzionale dell’articolo 1 della legge Nordio, che ha cancellato la fattispecie di reato dal nostro ordinamento. I giudici hanno accolto l’istanza dell’avvocato di parte civile Manlio Morcella nell’ambito del processo sulla faida dei Colaiacovo (la dinastia a capo della Colacem spa, una delle più importanti imprese italiane produttrici di cemento), in cui è imputata, tra gli altri, l’ex procuratrice aggiunta di Perugia Antonella Duchini. L’istanza dell’avvocato Morcella, ritenuta dai giudici “rilevante” e “non manifestamente infondata” – i due requisiti necessari per interessare la Consulta – era stata presentata l’8 settembre scorso e ipotizza una violazione degli articoli 11 e 117 della Costituzione, che fondano l’obbligo per l’Italia di adeguarsi al diritto internazionale.

Secondo il legale, infatti, la cancellazione della fattispecie dal nostro ordinamento si pone in contrasto con l’articolo 19 della Convenzione Onu contro la corruzione, la cosiddetta Convenzione di Mérida del 2003, in base al quale “ciascuno Stato parte esamina l’adozione delle misure (…) necessarie per conferire il carattere di illecito penale al fatto per un pubblico ufficiale di abusare delle proprie funzioni o della sua posizione, ossia di compiere o di astenersi dal compiere, nell’esercizio delle proprie funzioni, un atto in violazione delle leggi al fine di ottenere un indebito vantaggio per sè o per un’altra persona o entità”. Cioè proprio la condotta che fino a ieri costituiva abuso d’ufficio e ora, invece, è divenuta penalmente irrilevante.

La memoria contesta la tesi di Nordio secondo cui il testo originale della Convenzione, usando l’espressione inglese shall consider adopting (“dovrebbe considerare di adottare”), ha posto agli Stati una semplice raccomandazione e non un obbligo: non è così – sostiene Morcella – perché, quando ha inteso introdurre una mera raccomandazione, la stessa Convenzione di Mérida ha utilizzato un verbo diverso, cioè may, “potere”. Quindi, in base al trattato, gli Stati che non prevedono il reato di abuso d’ufficio hanno “l’obbligo di considerare la sua introduzione”, mentre quelli che già lo contemplano hanno “un obbligo internazionale di stand still“, “restare fermi”, “in forza del quale il quadro normativo interno deve rimanere invariato. Com’è possibile”, si chiede allora l’avvocato, “che uno Stato aderente alla Convenzione, obbligato a considerare l’inserimento del reato di abuso in atti d’ufficio nel proprio ordinamento, possa risolversi per la sua abrogazione?”.

Il Tribunale però va ancora oltre e ipotizza anche una violazione dell’articolo 97 della Costituzione, per “frustrazione dei principi di buon andamento e imparzialità della pubblica amministrazione“. L’abolizione tout court del reato, si legge nell’ordinanza che invia gli atti alla Consulta, ha creato un “vuoto di tutela” non colmabile da altre fattispecie, capace di impedire “la repressione e la tutela sul piano penale non solo nelle ipotesi di violazione di legge intenzionalmente poste in essere dal pubblico ufficiale, ma addirittura nei casi di mancata astensione, in caso di conflitto di interessi o di situazioni di incompatibilità”.

La scelta del governo, concludono i giudici, è “arbitraria” per due motivi: “Da un lato, non si è tenuto di conto che le ragioni poste a sostegno” della riforma, tra cui la cosiddetta “paura della firma”, “erano di fatto venute meno in ragione delle recenti riforme”, in particolare quella del 2020 che ha ristretto al massimo il campo di applicazione della fattispecie. Dall’altro, “non appare adeguatamente ponderato (e men che meno contenuto o neutralizzato) l’effetto dirompente che può avere la riforma, per il venir meno dell’effetto general-preventivo spiegato dalla presenza nell’ordinamento di una norma di chiusura che evitava il dilagare di condotte dolosamente arbitrarie e lasciava ai cittadini uno strumento attraverso cui ricorrere alla magistratura”.

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Il Fatto Quotidiano

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