Abiti, scarpe e maioliche etichettati come i salumi
- Postato il 1 dicembre 2025
- Economia
- Di Libero Quotidiano
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Abiti, scarpe e maioliche etichettati come i salumi
In settimana il governo ha approvato il decreto legislativo che dà attuazione al Regolamento europeo numero 2411 del 2023, lungamente discusso e approvato sul finire della scorso legislatura europea. Il nostro esecutivo non poteva fare altrimenti: entro la fine dell’anno le novità introdotte in materia di etichettatura e in particolare di Indicazione geografica protetta dovevano essere approvate. In pratica l’Igp viene estesa dagli alimenti asi manufatti artigianali o industriali. Una scelta fortemente osteggiata dal mondo dell’agroalimentare tricolore che vi vedeva una fonte di possibile confusione. Anche perché il sistema di etichettatura delle indicazioni geografiche era già tutto fuorché chiaro e contrariamente a quanto affermano le indagini condotte ciclicamente sul tema, la stragrande maggioranza dei consumatori ha difficoltà a comprendere la differenza che passi tra i cibi che sfoggiano il bollino giallorosso delle Dop e i cibi su cui compare quello gialloblù delle Igp. Vale la pena di ricordare brevemente queste differenze.
Un cibo a Denominazione d’origine protetta, Dop in sigla, deve rispettare tre caratteristiche: 1) essere fatto sulla base di una ricetta tradizionale comprovata, consolidata nel tempo e strettamente legata ai luoghi in cui viene prodotto; 2) utilizzare soltanto materie prime italiane provenienti dalle zone rigorosamente fissate dal disciplinare di produzione; 3) il luogo di produzione o trasformazione deve trovarsi in Italia, in una zona fissata sempre dal disciplinare, solitamente uno o più comuni limitrofi.
CARATTERISTICHE Gli alimenti a Indicazione geografica protetta, invece, devono rispettare due di queste tre condizioni. E se si eccettuano le Igp vegetali – ad esempio il Cappero di Pantelleria o la Cipolla Rossa di Tropea – di solito le due caratteristiche rispettate sono: 1) ricetta tradizionale comprovata; 2) luogo di produzione o trasformazione in Italia (e non potrebbe essere diversamente).
Ma non basta. Vi sono numerosi casi - ne ho esemplificati alcuni nella infografica che compare in questa pagina - di vegetali che sono registrati come Dop e come Igp. Di arance a indicazione geografica ce ne sono tre; due sono Igp, vale a dire l’Arancia del Gargano e l’Arancia rossa di Sicilia, mentre l’Arancia di Ribera è una Dop. E che dire delle tre varietà di riso a indicazione geografica? Il Riso del Delta del Po e il Riso Nano Vialone Veronese hanno il bollino gialloblù dell’Igp; il Riso di Baraggia Biellese e Vercellese quello giallorosso della Dop.
Come si spiegano queste differenze fra alimenti che appartengono alla medesima specie vegetale? Purtroppo, per i consumatori, non c’è una spiegazione logica che consenta di razionalizzare una diversità tale da giustificare certificazioni così diverse, se non la scelta dei produttori di intraprendere il percorso per la certificazione Dop o quello per ottenere l’Igp.
Per intenderci, nei salumi ha senso ad esempio che la Bresaola della Valtellina e la Mortadella Bologna siano cibi a Indicazione geografica protetta e il Prosciutto di Parma sia una Dop perché i primi due possono utilizzare materia prima proveniente in teoria da tutto il mondo, mentre il Parma è vincolato a far entrare nella filiera soltanto cosce di maiali italiani provenienti da sette regioni. Nei vegetali questa differenza non è possibile, visto che il luogo di coltivazione è giocoforza in Italia. E ora, giusto per complicare ulteriormente le cose, arrivano pure le Indicazioni geografiche protette non-alimentari che devono rispettare fra l’altro criteri molto diversi rispetto a quelle alimentari. Le caratteristiche richieste ai manufatti Igp sono tre: 1) origine geografica specifica (luogo, regione o Stato); 2) qualità, reputazione o altra caratteristica legata al territorio; 3) almeno una fase di produzione nella zona geografica delimitata dal disciplinare.
ARTIGIANATO E INDUSTRIA
Di più: l’origine delle nuove Igp può essere duplice. Possono uscire sia da un laboratorio artigianale come nel caso dei vetri di Murano e della maioliche di Castelli, ma anche dalla catena di montaggio di un’industria vera e propria. Stante la difficoltà di decodificare le indicazioni geografiche attuali, i consumatori rischiano di doversi confrontare con un minestrone di bollini apposti su prodotti diversissimi dagli alimentari. Naturalmente bisognerà aspettare le prime registrazioni delle Igp non alimentari per capire come si presenteranno e, soprattutto, come saranno accolte dai consumatori. «C’era già confusione prima sulle indicazioni geografiche, sarà inevitabile che cresca ancora di più, anche perché le tipologie merceologiche sono molto diverse e i processi di lavorazione estremamente diversificati», spiega a Libero Lorenzo Bazzana, responsabile economico della Coldiretti. «Senza leggersi il disciplinare», aggiunge, «sarà molto difficile capire quale possa essere il legame del prodotto con il territorio.
Poteva essere molto utile un marchio d’origine ma diverso, anche perché la moltiplicazione delle Igp nelle merceologie non agroalimentari acuirà la confusione e porterà nuove incertezze, nuovi dubbi e inevitabilmente nuovi equivoci». Senza considerare che i livelli di garanzia offerti per una Igp agricola, ad esempio il Riso del Delta del Po, saranno molto diversi da quelli di una calzatura o un abito Igp.
Stesso bollino, stessi colori (giallo e blu), stessa sigla. Ma garanzie radicalmente diverse. E non aiuterà di sicuro la possibilità concessa dalla Ue di registrare nuove Indicazioni geografiche protette anche a singoli produttori, in assenza di consorzi o associazioni, purché sussista un legame del prodotto con il territorio d’origine.