A Torino torna l’evento di fotogiornalismo internazionale più atteso dell’anno 

  • Postato il 6 ottobre 2025
  • Arti Visive
  • Di Artribune
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I fotografi, si sa, riescono a raccontare intere vite in un istante ed i loro scatti sono capaci di attraversare il tempo e lo spazio per arrivare dritte al cuore. Per il nono anno consecutivo, Torino rende omaggio a questo straordinario potere dell’immagine, accogliendo il World Press Photo Exhibition. Nato nel 1955 è oggi un punto di riferimento globale per il fotogiornalismo di qualità, un appuntamento immancabile. Con oltre 3 milioni di visitatori ogni anno in più di 60 città del mondo, è molto più di una mostra: è uno spazio critico e poetico dove i volti sconosciuti diventano parte della nostra stessa storia. 

L’edizione del World Press Photo Exhibition 2025 

La storica Accademia Albertina delle Belle Arti apre le sue sale a questo importante appuntamento internazionali dedicato al fotogiornalismo. In mostra 144 fotografie vincitrici dell’edizione 2025: uno spaccato potente, crudo ed emozionante dell’attualità globale. 
Una frase non passa inosservata, su un muro bianco, frontale: “questo non è il momento di semplificare la complessità ma piuttosto di darle un senso di riconoscere le sfumature, i molteplici punti di vista e la profondità delle storie globali”. La frase è di Joumana El Zeno Khoury, executive director World Press Photo Foundation. Il viaggio comincia da due mesi di selezione, guidati da una giuria internazionale che ha cercato non solo la perfezione tecnica, ma immagini capaci di creare dialogo, riflessione, empatia.  

La fotografia dell’anno 2025 

La fotografia dell’anno porta la firma della fotografa palestinese Samar Abu Elouf. Uno scatto che racconta la storia di Mahmoud, nove anni, ritratto con le braccia tese, mentre incita la sua famiglia alla fuga da un attacco a Gaza. Un gesto disperato, un istante prima che un’esplosione li portasse via per sempre. Oggi Mahmoud, evacuato in Qatar, sta imparando a scrivere con i piedi. La stessa fotografa vive nel suo complesso residenziale, testimone quotidiana di quella resilienza silenziosa che attraversa la tragedia. 

Le altre fotografie in mostra a Torino 

Intorno a lui, le fotografie esposte compongono una geografia dell’anima umana. Raccontano il gelo della notte vissuto dai migranti cinesi al confine tra Messico e Stati Uniti, dove la speranza si mescola alla disperazione. Raccontano l’Amazzonia ferita dalla siccità, dove un giovane cammina su ciò che un tempo era acqua, per portare cibo a sua madre. Raccontano la violenza ad Haiti, le tensioni democratiche in Kenya, le repressioni in Russia, la resistenza del popolo curdo, le rotte rischiose dei kolbar, corrieri di sogni e merci illegali. Raccontano la fuga dall’Eritrea e dall’Etiopia, la lotta delle donne, le identità che resistono, come quella Maori in Nuova Zelanda. Si parla di conflitti, di migrazioni, di crisi ambientali, di violazioni dei diritti umani, ma anche di speranza, di coraggio, di legami, di umanità. Ogni fotografia è un capitolo autonomo e universale, una storia che tocca, che scuote, che interroga, che scuote fino al profondo io.  

Torino e la fotografia 

Torino, ancora una volta, si conferma capitale culturale e civica dell’informazione visiva, come afferma con orgoglio Vito Cramarossa, direttore di CIME, che cura la mostra. La scelta dell’Accademia Albertina non è casuale: è un luogo dove la fotografia non è solo arte, ma strumento di consapevolezza e responsabilità. “La fotografia è di casa”, ricorda il direttore Salvo Bitonti. E in questa casa, le immagini non decorano, ma parlano. Dialogano con gli studenti, con i cittadini, con chi sceglie di fermarsi e guardare davvero. E quando si esce dalla sala, non serve dire nulla. Bastano quegli occhi lucidi, che hanno appena visto il mondo.

Flavia Zarba   
 
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Autore
Artribune

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