A Torino l’accoglienza in famiglia dei migranti è a rischio per le nuove regole del governo: “È un modello, va tutelato”
- Postato il 24 settembre 2025
- Cronaca
- Di Il Fatto Quotidiano
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“Il governo con la nuova regolamentazione del Sai (Sistema accoglienza integrazione) rischia di far morire l’esperienza torinese dell’accoglienza in famiglia”. A lanciare un grido d’allarme, sabato scorso, sono scesi in campo Sergio Durando, responsabile dell’Ufficio pastorale migranti della diocesi; Jacopo Rosatelli, l’assessore al Welfare, diritti e pari opportunità insieme a Hovhannes Avushyan, Lusine Harutunyan e gli altri rifugiati accolti dal 2015 allo scorso anno nelle case del capoluogo piemontese.
Un’esperienza unica in Italia, quella di Torino, nata nel 2008 grazie ai fondi comunali e entrata a far parte da dieci anni a questa parte del Sistema di protezione per richiedenti asilo e rifugiati (Sprar). Uomini, donne, nuclei familiari, disabili o rifugiati Lgbt, anziché finire nelle strutture hanno trovato una madre, un padre e dei fratelli o delle sorelle che li hanno accolti (dai sei ai dodici mesi) insegnando loro l’italiano, li hanno seguiti nello studio fino a trovare un lavoro o un’abitazione.
“In media ogni anno – sottolinea Durando – cinque famiglie hanno aperto le loro porte a afghani, ucraini, nigeriani, somali, per la maggior parte. Questo progetto dovrebbe diventare un modello per il Paese e, invece, è messo a repentaglio”. Il cosiddetto “rifugio diffuso” che “ha costituito – ha spiegato l’assessore Rosatelli – un modello di accoglienza con riscontri estremamente positivi in termini di sviluppo personale e di inserimento sociale e professionale dei singoli beneficiari, nonché in termini di sviluppo trasversale delle reti solidali e di accoglienza locali, e di sensibilizzazione attiva delle comunità locali” potrebbe finire a causa di nuove disposizioni del ministero dell’Interno.
Una situazione che ha spinto l’amministrazione a scrivere una lettera al prefetto Rosanna Rabuano, capo del Dipartimento per l’immigrazione e a Virginia Costa, responsabile del Servizio centrale Sai: “Pur apprezzando lo sforzo di apertura verso tale modalità di accoglienza operato nel nuovo manuale, e comprendendo le esigenze complessive, siamo costretti ad evidenziare quanto i limiti previsti dalla nuova regolamentazione ne possano mettere in discussione l’applicazione ai concreti percorsi di autonomia delle persone beneficiarie dei progetti, inficiando al contempo una concezione basilare su cui si fondano i sistemi di welfare locale, ossia la personalizzazione dell’intervento, resa operativa anche attraverso la predisposizione di un ventaglio flessibile e differenziato di opportunità in grado di rispondere ai bisogni ed alle caratteristiche sempre più eterogenee e differenziate dei fruitori dei progetti”.
Della questione si è interessata anche la senatrice Sandra Zampa che nei giorni scorsi ha sottoposto la questione al ministro dell’Interno Matteo Piantedosi. “La nuova definizione di accoglienza in famiglia che la configura esclusivamente quale azione finalizzata alla conclusione dei progetti, rivolta ai soggetti che hanno avuto uno sviluppo positivo del loro percorso in struttura – cita la missiva del Comune – non permette di considerare quanto sia invece opportuno ed efficace l’inserimento precoce nei contesti familiari accoglienti”. Da Roma per ora nessuna risposta. Ad attendere un riscontro sono famiglie come quella di Davide e Francesca Dentico che sabato hanno raccontato il loro incontro con questa realtà così come Kaltoum Mlouki e Antonella Casiraghi che lavorano instancabilmente con altri della pastorale migranti per far camminare questo progetto.
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