A Pietra l’incontro “C’è qualcosa di più grande” con don Marco Pozza: “Sacerdoti influencer? Mi basta essere un bravo prete e portare speranza”

  • Postato il 13 dicembre 2025
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  • Di Il Vostro Giornale
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Don Marco Pozza Pietra Ligure

Pietra Ligure. Una riflessione profonda e personale sulla speranza, tema con cui lui si confronta ogni giorno mentre presta servizio spirituale nelle carceri italiane. E’ ciò che è stato al centro di della speciale serata di meditazione tenutasi ieri sera nella chiesa parrocchiale Nostra Signora del Soccorso a Pietra Ligure e che ha avuto come ospite d’eccezione don Marco Pozza.

Noto scrittore, autore televisivo e volto familiare al grande pubblico, don Marco è soprattutto il cappellano del carcere “Due Palazzi” di Padova. Ed è proprio da questa “parrocchia” insolita che trae la sua forza e la sua profonda prospettiva sul mistero del Natale. Il carcere di Padova, con i suoi 850 detenuti, è l’epicentro della missione di don Marco. Un sacerdote fuori dal comune perché presta il suo servizio spirituale non in una chiesa fatta di altare e panche, ma di porte blindate, chiavistelli e sbarre, dove la speranza convive con l’isolamento. In questo luogo in cui il confine tra errore e redenzione è così sottile, don Marco ha saputo creare spazi di umanità dentro e fuori dal carcere.

Il titolo dell’incontro, “C’è qualcosa di più grande”, ha voluto invitare il pubblico a sollevare lo sguardo oltre le nostre piccole e grandi preoccupazioni e ad abbracciare il vero messaggio della natività. Attraverso le sue parole, don Marco Pozza ha offerto uno spunto di meditazione che non teme di affrontare le ombre o le incertezze di guerra nel Mondo ma attraverso l’esperienza intensa e cruda del carcere illumina il significato profondo della solidarietà, del perdono della rinascita e della speranza che il Natale rappresenta.

“Nel titolo c’è tutto – ha spiegato don Pozza ai microfoni di IVG – Siamo partiti da una pagina bellissima, quella delle genealogia di Gesù Cristo come la racconta l’evangelista Matteo (una storia piena di peccati, che Péguy definisce ‘la genealogia carnale più spaventosa della storia dell’umanità’). Se uno non si ferma a guardare il peccato, scopre che dentro c’è qualcosa di più grande e che è l’uomo che commette questo peccato. Scopre che la grazia di Dio viaggia a zig-zag, in mezzo a questi uomini peccatori, finché non trova l’unico giusto, Giuseppe, dal quale nasce Cristo. Quindi un invito alla speranza che, per quanto mi riguarda, nasce anche dall’esperienza del carcere, che mi sta insegnando che togliere la speranza a qualcuno è sempre pericoloso, perché potrebbe essere l’ultima speranza che questa persona ha nel cuore”.

Cercare la speranza in carcere sembra un paradosso, ma “dopo 15 anni di vita in carcere non riesco ad immaginare un altro posto dove trovare una speranza così fresca come in carcere. Quando c’è. Perché c’è, anche se non sempre la si sa riconoscere. O, peggio, sempre le si dà voce in modo che riesca ad accendersi anche dentro la disperazione”.

Don Marco Pozza Pietra Ligure

Viene da chiedersi come sia cambiato il carcere nei 15 anni di servizio spirituale di don Pozza: “Qualcuno potrebbe dire che è cambiato in peggio, qualcuno in meglio. Cambiano gli uomini, cambia la città e cambia anche il modo che la città ha di trattare le persone che hanno sbagliato. Può essere una ‘discarica sociale’ come lo è per tanti, oppure può essere un giardino che nel tempo si è inselvatichito. Ma se trovi un giardiniere appassionato ti dirà che sotto sotto la terra è buona. E’ quello che cerchiamo di fare noi, lasciandoci anche ridere dietro dal mondo”.

Ciò che è cambiato, in questi 15 anni, è sicuramente il mondo ed in particolar modo la tecnologia. Ormai, in tanti si rivolgono all’intelligenza artificiale anche per domande di natura più intima e filosofica. Chissà se don Pozza ha chiesto all’Ai cosa sia per lei la speranza. “Prima di riflettere sull’intelligenza artificiale devo ancora riflettere sull’intelligenza umana – ha spiegato – Sto ancora cercando di capire dove può arrivare l’intelligenza umana quando manca. Non penso che l’Ai possa spiegarla, perché è qualcosa che ha a che fare con gli incontri”.

E la tecnologia è entrata anche “in chiesa” facendo diventare star social anche figure insospettabili come i sacerdoti: “Ognuno cerca la speranza da qualche parte. Con una piccola differenza: a me interessa fare il prete, non l’influencer. Oggi, invece, mi sembra sia più importante influenzare che evangelizzare. Io non sono un influencer, a me basterebbe essere un bravo prete, come Dio sogna su di me. I preti influencer? Non è il mio caso, a Milano dicono ‘pasticciere fai il tuo mestiere’”.

Autore
Il Vostro Giornale

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