“A papà Billy ho visto scendere una lacrima quando mi hanno portato via per farmi il depot. Chiedevo tutti i giorni l’eutanasia, volevo morire. Oggi? Sono fiero di me”: parla Achille Costacurta

  • Postato il 31 ottobre 2025
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  • Di Il Fatto Quotidiano
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“Sono fiero di me, del fatto che sono riuscito ad avere una certa consapevolezza. Tutti i miei traumi sono riuscito a buttarli giù. Non ho filtri, non mi vergogno di quello che mi è successo perché alla fine sono una persona normale. Ho imparato a non dimenticare quei traumi ma a farne tesoro. Avendo provato gli eccessi, ora ci sono poche cose che mi fanno veramente felice. Perché le sostanze stupefacenti ti fanno provare queste emozioni che non ritrovi”: è intensa, importante, la confessione che Achille Costacurta fa al podcast “One More Time” (OnePodcast). Ha 21 anni, Achille, ed è figlio di Billy Costacurta e Martina Colombari. TSO, droghe, rabbia e la diagnosi di ADHD, un tentativo di suicidio, un rapporto difficile con i genitori che da sempre lottano per aiutarlo e lui che oggi ce l’ha fatta e vive lontano da Milano, per ritrovarsi.

“Ho iniziato a fumare a 13 anni. Al compleanno dei miei 18 anni ho provato la mescalina. Una volta ho avuto una colluttazione con la polizia. Ero sotto effetto e ho fatto il matto su un taxi. Il poliziotto arriva, mi tira un pugno in faccia, io ero allucinato quindi l’ho spaccato di legnate. Lì dopo poco mi fanno il primo TSO, me ne hanno fatti 7. Il problema era che, quando me l’hanno fatto a Padova, perfetti, gentilissimi, a Milano mi hanno legato al letto per tre giorni perché gli ho dato un colpo sulla spalla. Urlavo che mi serviva il pappagallo, io ero legato, mani e piedi, tutto, e mi dovevo fare la pipì addosso”, il racconto. Poi arriva un nuovo percorso di cura, e stavolta va bene: “Quando sono andato in clinica in Svizzera mi hanno detto: ‘se fossi stato fuori altri 10 giorni saresti morto’ perché hai il cuore a riposo a 150 battiti… La Svizzera da così a così, ti dicono: ‘Tu sei qua e puoi scegliere, se ti vuoi drogare c’è la strada, puoi andare e puoi fare quello che vuoi, vai. Se tu invece hai bisogno di una mano, vieni qua e noi ti aiutiamo’. Mi hanno fatto cambiar vita, grazie a loro io non mi drogo più. Il loro approccio ti fa capire veramente le cose importanti. Li ringrazierò per tutta la vita”.

Forte, drammatico, il passaggio in cui Costacurta racconta il tentativo di suicidio: “Ho iniziato a spacciare fumo. Arrivata la quarantena, tutti chiusi in casa, fumo non ce n’è. A me riusciva ad arrivare comunque tramite dei canali, avevo creato una rete e mi hanno arrestato a 15 anni e mezzo. Quindi faccio il mio primo compleanno dei 16 anni lì, centro penale comunità terapeutica. Non ce la facevo più, aspetto la notte quando c’è un solo operatore ed entro in ufficio, lo distraggo e prendo le chiavi dell’infermeria. Lo chiudo dentro l’ufficio, lui con le sue chiavi riesce a uscire. Io però nel frattempo ero già in infermeria e prendo tutto il metadone che c’era, sette boccettine, mi chiudo in bagno e le bevo tutte, volevo suicidarmi. Arrivano i pompieri e sfondano la porta, poi l’ambulanza. Nessun medico ha saputo dirmi come io sia ancora vivo perché l’equivalente di sette boccettine di metadone sono sui 35, 42 grammi di eroina. La gente muore con un grammo”.

Lo strazio ma anche la forza dei suoi genitori, Achille lo racconta con profondità: “Mia mamma ha pianto tanto. Mio papà l’unica volta che gli ho visto scendere una lacrima è stato quando mi hanno proprio portato via. Quando mi avevano fatto il depot (si tratta di particolari formulazioni di farmaci che consentono l’accumulo nei tessuti ed il graduale rilascio nel tempo della sostanza terapeutica somministrata, ndr), io tutti i giorni chiedevo di andare a fare l’eutanasia perché non avevo più emozioni e volevo morire. E lì l’ho visto piangere”. E il papà Billy torna nel racconto, quando Achille esce dalla clinica: “Il giorno che esco dalla clinica mi viene a prendere mio papà. C’era un doppio arcobaleno. Io li scoppio a piangere dalla gioia, dalla felicità, abbraccio fortissimo mio papà e gli dico: ‘hai visto che ce l’abbiamo fatta, ho smesso, e ce la farò e continuerò. Ce lo sta dicendo pure il cielo. C’è il doppio arcobaleno ti rendi conto?’. È stato uno dei momenti più fighi. Anzi, dopo chiamerò mio padre per ricordarglielo”.

(Video PODCAST “ONE MORE TIME” DI LUCA CASADEI – ONEPODCAST)

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Il Fatto Quotidiano

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