A Milano non si bevono più alcolici: è ultima nella classifica delle città italiane “wine firendly”. Ecco perché e cosa c’entra la Gen Z
- Postato il 3 novembre 2025
 - Salute
 - Di Il Fatto Quotidiano
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                                                                            Altro che Milano da bere! La metropoli si è classificata ultima tra le 15 città italiane “wine-friendly” – cioè le più ambite mete degli enofili. È il risultato della classifica stilata dal centro di ricerche MCO sulle 15 località più prestigiose nel settore enologico, valutate su: numero di locali per ogni 10.000 abitanti; rating ponderato delle recensioni degli utenti; prezzo medio della bottiglia. Il capoluogo lombardo non ha retto il confronto con Alba, Siena e Olbia, le top three, né con Bolzano, Asti, Firenze, Verona o Treviso. Certo, all’ombra della Madonnina niente mescita diretta e full immersion tra le vigne: domina il prodotto in senso culturale (e ovviamente sensoriale). Osserva Roberto Donadini, presidente della Federazione italiana sommelier (FISAR), in una recente intervista alla Repubblica: “A Milano il vino non manca, ma viene vissuto soprattutto attraverso la ristorazione, spesso di fascia alta”. Ciò spiegherebbe almeno in parte il calo di interesse per la bevanda, ma è un po’ tutta la categoria che sembra perdere il suo appeal. Per lo meno nei sei principali mercati europei (Francia, Germania, Italia, Paesi Bassi, Spagna e Regno Unito) esaminati dalla società di ricerche Circana, che a inizio ottobre ha presentato i risultati dell’indagine a Londra, al Beverage Forum Europe.
Innovazioni analcoliche
Il 71% degli europei acquista, conserva o consuma meno alcol, ma soprattutto nella fascia 25-35 anni si assiste a un vero e proprio cambio generazionale, trainato dalla Genz Z: quasi un giovane su 4 non lo compra proprio più. Nei sei paesi il settore vale 166 miliardi di €, in crescita del 2,1% rispetto al 2024. In testa ai consumi non ci sono gli alcolici – l’1,8% in meno rispetto a 12 mesi fa – bensì soft drink, bevande funzionali e altre con poco o zero alcol, che nel complesso valgono 97 miliardi di € (+5,1%) e rappresentano quasi il 60% delle vendite del settore. I consumatori preferiscono queste alternative perché “più rinfrescanti” (55%), “più salutari grazie agli ingredienti di origine vegetale”, “di miglior sapore” (27%), “più adatte per il mio stile di vita (21%)”.
Bevande funzionali
Frullati proteici, mocktail, acque vitaminizzate, kombucha, kefir, latti vegetali sono per gli adepti un mix di gusto e benessere grazie a ingredienti capaci di favorire energia, relax, buon umore ecc. Spesso sono bevande colorate e instagrammabili, amatissime dai social: secondo una precedente ricerca di Circana, si tratta di verdi tè freddi al matcha o violetti latte con ube (un tubero asiatico), ma anche di shot allo zenzero o acqua gassata con infuso di cannabidiolo. Nell’ambito dei soft drink la preferenza va alle bibite sugar free, dolcificate piuttosto con stevia o succo di frutta. Sono alternative con pro e contro ma che comunque, diversamente dagli alcolici, non danno dipendenza. Né provocano gli oltre 200 problemi di salute che gli studi collegano all’abuso di alcol: tumori, disturbi neurologici e mentali, patologie cardiovascolari e gastrointestinali, diabete ecc.
Nolos
Diverso è il caso delle nolos, no- o low-alcohol beverages, di cui fanno parte birra, sidro, distillati non alcolici come gin, whisky, rum, vini dealcolati (gradazione alcolica <0,5%) e parzialmente dealcolati (gradazione 0,5-9%) come cabernet, chardonnay, sauvignon e prosecco.“Sono state introdotte da troppo poco tempo per poterne valutare l’impatto di lungo termine sulla salute”, spiega il dott. Emanuele Scafato, Direttore Osservatorio Nazionale ALCOL, Istituto Superiore di Sanità. “Molti che non bevono potrebbero essere ‘traghettati’, abituati al gusto del prodotto analcolico, verso le stesse bevande ma alcoliche, è il caso delle birre ma anche dei superalcolici. Altri le usano in consumo promiscuo per evitare di bere solo alcolici. Molti produttori usano la pubblicità del prodotto a zero alcol per aggirare i divieti di molte nazioni dello stesso prodotto alcolico”.
La tragica realtà
“I cambiamenti nell’uso delle bevande non vanno confusi con la riduzione del consumo pro-capite di alcol. I consumi in Italia, secondo le stime più aggiornate che abbiamo curato con l’OMS, hanno superato gli 8 l all’anno, in controtendenza rispetto ad un’attesa riduzione del 10% entro il 2025 richiesta dalle strategie europee e internazionali. Quindi, obiettivo mancato. Così come quello dei consumatori a rischio, oltre 8 milioni, di cui oltre 1 milione di giovani e oltre 640.000 minori, dei binge drinkers, 2 milioni e mezzo di anziani e poi gli oltre 4 milioni di consumatori che bevono per ubriacarsi – oltre 780.000. Purtroppo il SSN riesce ad intercettare solo l’8% di coloro che si trovano già in presenza di un danno alla salute e in necessità di trattamento”.
CREA (l’ente nazionale di ricerche), OMS e ISS raccomandano: sotto i 18 anni 0 alcol; over 65 1 unità (330 ml di birra max 4,5°, o 125 ml di vino max 12°, o 40 ml di liquore max 40°); 1 unità per le donne, 2 unità per gli uomini adulti in assenza di controindicazioni come assunzione di farmaci. Ma, ricorda l’OMS, non c’è rischio zero con l’alcol. “Da qui la necessità di riuscire a informare, identificare, prevenire, promuovere la salute e meno i prodotti alcolici. Tutte le indagini e gli indicatori del calo di consumi sono insufficienti per assumere che la protezione dei vulnerabili (giovani, anziani e donne) sia assicurata; la distribuzione, la frequenza e le quantità consumate fanno la differenza”, conclude Scafato.
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