“La malnutrizione dei bambini sta diventando uno dei problemi più importanti e più drammatici, ed è una condizione nuova in quest’area del mondo”. Giorgio Monti è il coordinatore medico di Emergency e si trova a Deir al Balah, nella zona centrale della Striscia di Gaza. Qui, da agosto, l’ong fondata da Gino Strada è impegnata a portare assistenza sanitaria gratuita alla popolazione stremata dai bombardamenti israeliani, dalla fame e dalla sete. Lo staff lavora in due cliniche, si occupa di medicina di base e primo soccorso. Ogni giorno cerca di curare la popolazione con ciò che resta delle scorte di medicinali, sfruttando le poche attrezzature a disposizione e con il timore concreto che esplodano epidemie. Una situazione resa ancora più difficile dall’assenza di cibo e acqua potabile, con gravi conseguenze sui bambini: nelle ultime settimane l’organizzazione ha deciso di avviare una collaborazione con Unicef proprio per lo screening e il trattamento dei coloro che sono in più sofferenza.
Qual è la situazione sul fronte degli aiuti alimentari?
“Il problema delle carenze alimentari si sta ormai cronicizzando. Sono due mesi che non c’è accesso a cibi freschi nei mercati. Quello che è entrato nell’ultima settimana è una quantità assolutamente irrisoria. Si parla di un centinaio di camion al giorno, quando prima della guerra ne entravano 800 al giorno per rifornire quest’area geografica. Quello che si può trovare al mercato, a parte alcuni prodotti di ortofrutta che vengono prodotti qui, si riesce a trovare perché qualcuno l’ha stoccato e ora lo rivende a prezzi incredibili per guadagnare due soldi. La farina è arrivata a 300 dollari al sacchetto da 25, le patate costano 20 dollari, una confezione di candeggina, utile per igienizzare gli ambienti, costa 15 dollari confezione. Prima ne costava uno. L’acqua è diventato un altro problema importantissimo: il 70% dei cittadini beve acqua contaminata o salmastra”.
Tutto questo quali conseguenze ha sulla salute? Ci sono segni di malnutrizione nella popolazione che assistete?
“Arrivano bambini oggettivamente malnutriti. Ma lo vediamo anche nella quotidianità, nelle persone magre e nei nostri colleghi che perdono peso perché non c’è abbastanza cibo. Questo si lega ovviamente alla salute, perché si porta dietro frustrazione per il corpo, stress, aumento di malattie infettive e rallentamento dei processi di guarigione”.
Avete visto qualche cambiamento da quando è stato avviato il nuovo sistema di distribuzione in collaborazione con gli Stati Uniti?
“La distribuzione fatta dalla nuova organizzazione umanitaria ha portato in realtà a un ulteriore peggioramento delle condizioni. Quando è stato fatto l’annuncio, è aumentata l’aspettativa da parte delle persone che speravano di risolvere il problema alimentare. Purtroppo, però, la pessima organizzazione e il passaggio a 4 punti di distribuzione dai 400 di prima hanno creato immediatamente l’effetto branco: i più forti sono riusciti ad accaparrarsi il cibo, a volte anche due pacchi, mentre i più fragili, gli anziani o i disabili, sono rimasti tagliati fuori dalla consegna. Non c’erano regole, non c’era un’anagrafica o un censimento. E il dramma poi è stato reso davvero incredibile dalla difesa militare di questi centri, che si è manifestata con il fuoco”.
Cosa vi manca nelle cliniche?
“Molte cose, perché è tutto chiuso ed è impossibile fare entrare materiale. Anche con l’apertura della settimana scorsa è arrivato pochissimo. Abbiamo bisogno di macchine, come un ecografo o un concentratore d’ossigeno per poter stabilizzare i pazienti del nostro pronto soccorso. Ci mancano analgesici potenti e farmaci per la sedazione. Abbiamo davvero poco per gestire il dolore in un paziente che arriva ferito e nulla per fare anche una sedazione blanda o più profonda per procedure particolarmente dolorose, come le medicazioni delle ustioni o i trattamenti della fase acuta dei traumi. Non c’è nessuna possibilità di avere psicofarmaci per una popolazione che è sottoposta a uno stress estremamente importante. Abbiamo inoltre finito i farmaci per la scabbia, che qui è molto frequente. Abbiamo solo quelli essenziali, e li abbiamo fatti entrare noi durante il cessato il fuoco e in parte con il supporto dell’Organizzazione mondiale della sanità. Ma le riserve sono al lumicino”.
Quali sono i principali problemi medici?
“Ovviamente i traumi, non solo per gli attacchi diretti, ma anche per le conseguenze di una vita fatta in aree pericolose, con case diroccate, tende non idonee a una vita normale. Poi moltissime malattie della pelle: infestazioni parassitarie, scabbia, pidocchi, irritazioni per la mancanza di igiene, per la mancanza di cibo. Poi ci sono tutte le malattie croniche: diabete, ipertensione, disturbi di cuore, di reni, tiroide. Abbiamo un po’ di farmaci, ma per un medico italiano sarebbero considerati assolutamente insufficienti. Un’altra grande categoria è quella delle malattie gastrointestinali, sempre per la cattiva igiene degli alimenti e dell’acqua, e ora anche per l’aumento delle temperature. Il timore più grande che abbiamo in questo momento è che possa esplodere un’epidemia di colera. Alcuni casi sono stati segnalati, ma non in modo epidemico. Sarebbe veramente una notizia drammatica, speriamo di non doverla dare”.
Qual è l’appello che volete fare?
“Noi chiediamo che la guerra finisca immediatamente, perché ogni giorno è un giorno di troppo. Bisogna fare pressione in qualunque modo pacifico perché si faccia entrare cibo fresco, medicinali, materiale medico e sanitario”
Emergency ha avviato la sottoscrizione Ora! per fermare il massacro a Gaza. Si può aderire a questo link