“A Gaza ci hanno tolto case e dignità. Due anni a desiderare che il 7 ottobre non fosse mai successo. Ora in Italia per raccontare la Palestina e il mio popolo”

  • Postato il 7 ottobre 2025
  • Mondo
  • Di Il Fatto Quotidiano
  • 2 Visualizzazioni

Due anni desiderando che il 7 ottobre non fosse mai successo. Due anni di un lungo 8 ottobre: genocidio, sfollamento, cancellazione dei nostri ricordi e della nostra identità di palestinesi. Due anni in cui la strada per tornare a casa è diventata un viaggio di sfollamento – da un rifugio all’altro e da una tenda all’altra – fino a quando sono finita in esilio, scoprendo un mondo che non avevo mai conosciuto nei 24 anni trascorsi sotto assedio a Gaza. Due anni di code per il cibo e l’acqua, di attacchi aerei che hanno raso al suolo case, quartieri, paesi, città, scuole e università della Striscia. Due anni di complicità internazionale con un regime fascista che continua a commettere genocidio contro un popolo disarmato. Due anni di paura (e questa continua ancora) per la sopravvivenza della mia famiglia, dei miei cari, dei miei amici rimasti là. Due anni passati a raccontare il genocidio da reporter. Ho avuto la fortuna di sopravvivere alla morte più e più volte, ma tanti altri non l’hanno avuta questa fortuna nel lungo 8 ottobre.

Bambini che sono invecchiati prima del tempo. Mia sorella Rola è cresciuta di due anni durante il genocidio; ricordo quando siamo stati costretti ad abbandonare la nostra casa ad al-Mughraqa: lei aveva solo due anni e non sapeva ancora parlare; oggi ne ha quattro: sa cosa significa vivere in una tenda invece che in una casa, conta le fette di pane prima di mangiare e chiede a mia madre: “Mamma, c’è del pane?”. In questi due anni ho perso i miei quattro cugini piccoli, uccisi insieme. La loro sorella, la piccola Saja, ora ha bisogno di cure mediche per le sue ferite. Per due anni ho lavorato con i bambini nei campi, osservando i loro volti pallidi e corpi fragili, ascoltando le loro richieste per i diritti più elementari dell’infanzia; sanno riconoscere il rumore dei diversi aerei, memorizzare percorsi che non portano alle loro case ma alle tende di stoffa che non proteggono né dal caldo dell’estate né dal freddo dell’inverno. Hanno dimenticato il significato della scuola, dell’appello mattutino e dei dolci caldi preparati dalle loro madri.

Per due anni Gaza è stata definita dall’Unicef il cimitero dei bambini, eppure nessuno li ha salvati dalla macchina della morte. Due anni in cui non assomigliavo a nessuna donna al mondo, con il ricordo della mia dignità e femminilità violate semplicemente perché ero una donna a Gaza. Due anni in cui ho desiderato non avere il ciclo mestruale, né desideri, né sogni. Due anni in cui sono diventata per caso giornalista del Fatto, difensore dei diritti delle donne e dei bambini e collaboratrice di organizzazioni umanitarie internazionali, cercando solo di alleviare le sofferenze in piccoli modi. Invece di percorrere la strada sicura verso casa, ho percorso un sentiero diverso, svegliandomi nel cuore della notte con la pioggia che cadeva sulla tenda, cercando con la mia famiglia un modo per sopravvivere al freddo. Invece della mia stanza ho vissuto in sei metri per otto con nove persone della mia famiglia, senza privacy, senza spazio personale, senza vita. Per due anni non ho potuto guardarmi allo specchio, né vedere il mio corpo riflesso. Desideravo ballare a mezzanotte al ritmo della canzone di Warda Batwanes Beek, ma invece i giorni si trasformavano in incubi.

Adesso, mentre cammino per le strade in Italia, non riesco a credere di essere qui: quando abbraccio la professoressa Tiziana De Rogatis e sento il calore di una madre; quando ho trascorso giorni di vacanza con la scrittrice Paola Caridi, la madre italo-palestinese che mi guida; quando incontro il rettore Tomaso Montanari, colui che ha reso possibile la mia evacuazione; e poi quando vedo Giampiero Calapà del Fatto, che si prende cura delle mie cose come un padre e mi chiede di scrivergli la sera quando rientro a casa e mi ripete di non sentirmi in colpa per essere qui, che è tutto merito mio. Ho una reale possibilità di vivere, non solo per me stessa, ma anche per la mia famiglia e il mio popolo. Pochi giorni fa ero a Livorno, passeggiavo in riva al mare e mi sembrava di camminare al porto di Gaza, respirando la stessa aria salmastra. Livorno mi ha ricordato che anche noi meritiamo di vivere, come popolo che desidera solo crescere, prosperare liberamente nella propria patria. Da quando sono sopravvissuta al genocidio, ho cercato di trovare una routine, di ricominciare da capo. Ma l’idea mi sembra finzione. Vivo con gli incubi, con il percorso di guarigione psicologica che ho appena iniziato. So cosa significa tremare di paura in esilio, preoccuparsi per la propria famiglia, desiderare di poter dare loro la stessa possibilità di vita che ho io ora. Vorrei poter mandare frutta, verdura e giocattoli a Rola; vestiti caldi a mia nonna, che è stata costretta a lasciare la sua casa nel nord per trasferirsi nel sud di Gaza dopo aver resistito per due anni. Si era rifiutata di andarsene, ma alla fine, sotto l’ordine di evacuazione forzata, non ha avuto scelta.

Da quando sono in Italia, da fine giugno, ho preso sei chili, mangiando cibo di cui ero stata privata per due anni, cercando di riscoprire me stessa come donna in esilio, reclamando lo spazio vitale che avevo perso. Eppure, continuo a pensare al mio villaggio natale, al-Mughraqa, sapendo che tornare sarà impossibile: Israele ha distrutto tutto. Ricordo le storie dei miei nonni sulla Nakba e so che oggi stiamo vivendo una nuova Nakba, trasmessa in diretta sui telefoni e sulle tv con la tecnologia più avanzata. In due anni surreali contiamo più di 70mila persone uccise nei modi più brutali, due milioni di sfollati, privati delle loro case, del cibo, dell’acqua, delle medicine e della dignità col sostegno politico e militare incondizionato della comunità internazionale a un regime che sta commettendo un genocidio. Due anni passati a desiderare che il 7 ottobre non fosse mai successo e che l’8 ottobre non arrivasse. Due anni passati a desiderare di essere rimasti nelle nostre case, con dignità, circondati dai nostri cari, senza tutto questo sangue, tutta questa distruzione, tutta questa perdita. Non possiamo permetterci il lusso di dimenticare. Voglio scrivere, parlare, dare voce alle donne che hanno sopportato lo sfollamento e il trauma, ma hanno continuato ad andare avanti. Forse il mondo non è mai stato pronto a proteggerci. Ma continueremo a proteggere la nostra memoria, trasformando il dolore in Storia che nessun tiranno o fascista potrà cancellare dalla coscienza dell’umanità.

L'articolo “A Gaza ci hanno tolto case e dignità. Due anni a desiderare che il 7 ottobre non fosse mai successo. Ora in Italia per raccontare la Palestina e il mio popolo” proviene da Il Fatto Quotidiano.

Autore
Il Fatto Quotidiano

Potrebbero anche piacerti