A Forte dei Marmi un tuffo nel passato contadino con le opere di Eugenio Cecconi
- Postato il 18 agosto 2025
- Arte Moderna
- Di Artribune
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Quest’estate 2025, al Forte Leopoldo I di Forte dei Marmi una mostra invita a tornare indietro nel tempo, nell’Ottocento dei Macchiaioli. Protagonista è Eugenio Cecconi, con 51 opere che invitano a riscopre una pittura sospesa fra la “macchia” e il naturalismo, densa di verità e poesia.
Chi è l’artista Eugenio Cecconi
Nonostante la laurea in giurisprudenza, nel 1866 Eugenio Cecconi (Livorno 1842 – Firenze, 1903) decise di dedicarsi completamente alla pittura e prese uno studio a Livorno, dove frequentò Diego Martelli che lo introdusse fra i Macchiaioli di Castiglioncello, grazie ai quali si formò artisticamente libero da regole accademiche, dedito allo studio dal vero, a diretto contatto con la natura.
Nonostante un viaggio in Tunisia nel luglio del 1875, dal quale scaturirono luminose pitture di genere orientalista, il paesaggio agreste toscano fu la sua quinta d’elezione, perché vi trascorreva lunghi soggiorni, anche dovuti alla passione per la caccia. Le sette sezioni della mostra riassumono la capacità di Cecconi di traslare sulla tela la nobile austerità della civiltà contadina, in particolare toscana, con i suoi riti sociali che sono state la caccia e la pesca, fra la Maremma, il Lago di Massaciuccoli e la laguna di Burano; paesaggi noti, ma che il pennello di Cecconi rende quasi fiabeschi, nella leggiadria dei colori mai troppo accesi, mai troppo tenui. Con uno stile che combina la luminosità della macchia e l’antiretorica del naturalismo, i suoi dipinti possono dirsi il racconto per immagini della realtà di contadini e cacciatori.










La donna rurale secondo Eugenio Cecconi in mostra al Forte Leopoldo I di Forte dei Marmi
Un posto d’onore nella pittura di Cecconi è riservato alla donna, autentico pilastro della civiltà contadina. Esse sono colte mentre, con dignitosa fierezza, sono impegnate nei duri lavori domestici, nelle fatiche dei campi, o ad offrire con una punta di civetteria i doni della terra: uno mondo di fienaiole, raccoglitrici, lavandaie, traghettatrici, venditrici di arance o di polli, sempre avvolte in un’umile bellezza che incornicia volti orgogliosi su cui sono dipinte storie di fatica radicata nella terra. Ma Cecconi, nel suo poetico realismo, fa di loro delle autentiche divinità: tante moderne Cerere e Demetra, che sopportano con coraggio il difficile compito, loro assegnato dal destino, di curare la natura e la società.
La caccia interpretata da Eugenio Cecconi
Nelle tele di Cecconi rivive una realtà sociale ormai scomparsa, ma che per secoli ha costituito il tessuto sociale in Italia e in Europa, cioè la civiltà rurale, all’interno della quale una raffinata aristocrazia di campagna (ma non solo) codificò quella che ancora oggi è conosciuta come la “caccia classica”, che aveva in Sant’Uberto il suo patrono e in Diana la sua seducente musa. Una disciplina che aveva i suoi maestri nei cacciatori professionisti, di cui si avvalevano i grandi proprietari terrieri per organizzare al meglio le battute, fossero al cinghiale o alla selvaggina da penna; un microcosmo dove i ceti si fondevano, ma soprattutto l’individuo si fondeva con la natura, e anche se oggi la caccia è vista con una mentalità diversa, non si può negare quell’attività venatoria era condotta nella piena conoscenza degli equilibri naturali e della stagionalità della selvaggina. Un mondo di cui ha ampiamente scritto Eugenio Niccolini nell’ormai celeberrimo Giornate di Caccia. Anziché farlo con le parole, Cecconi riproduce questo microcosmo con tela e colori, immortalando l’affiatamento fra l’uomo e il cane, la complessità e la convivialità delle battute ai grandi predatori, l’armonia con la natura. La Maremma, “amara” ma anche dolce, è il territorio d’elezione di questa caccia romantica, attorno alla quale si costruisce un’epica umile ma vivace di uomini e animali, fra riti condivisi e senso di appartenenza.
Niccolò Lucarelli
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