A Doha il mondo arabo-islamico prepara la risposta a Israele

  • Postato il 15 settembre 2025
  • Esteri
  • Di Formiche
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Leader e ministri da tutto il mondo arabo e islamico si sono riuniti lunedì in Qatar per un vertice straordinario della Lega Araba e dell’Organizzazione della Cooperazione Islamica (OIC), convocato dopo l’attacco israeliano a Doha che martedì scorso ha ucciso cinque membri di Hamas e un ufficiale della sicurezza qatariota, colpendo a pochi metri dal team negoziale che stava valutando una proposta statunitense di cessate il fuoco a Gaza.

Le parole dell’Emiro

L’emiro Tamim bin Hamad Al Thani ha aperto i lavori con un attacco diretto al premier israeliano: “Netanyahu sogna che la regione araba diventi una sfera di influenza israeliana, ed è un’illusione pericolosa”. Ha ricordato l’Iniziativa di Pace Araba del 2002, sostenuta dall’Arabia Saudita e dalla Lega Araba, che offriva a Israele pieno riconoscimento e normalizzazione dei rapporti in cambio del ritiro dai territori occupati dal 1967: “Se Israele l’avesse accettata, avrebbe risparmiato alla regione innumerevoli tragedie”.

Il giorno precedente, il primo ministro qatariota Sheikh Mohammed bin Abdulrahman Al Thani aveva denunciato il “barbarico attacco israeliano” e annunciato che Doha adotterà “misure legali legittime per preservare la sovranità del nostro Paese”, forte della solidarietà araba e islamica.

Pressioni regionali

Diverse capitali hanno chiesto risposte dure, cogliendo l’occasione anche di attaccare l’allineamento occidentale dietro a Israele. Il ministro degli Esteri pakistano, Mohammad Ishaq Dar, ha parlato di una “roadmap chiara” e ha ventilato l’ipotesi di una forza di sicurezza congiunta. Pochi giorni prima, il ministro della Difesa di Islamabad aveva ammonito che nessun Paese può sentirsi al riparo dalla guerra di Gaza. Da Teheran, il presidente Masoud Pezeshkian ha invocato la rottura delle relazioni con Israele come segnale di unità islamica.

Secondo fonti diplomatiche, la bozza di risoluzione che i leader discuteranno in serata propone misure che potrebbero andare oltre le tradizionali condanne verbali: dal downgrade delle relazioni diplomatiche a restrizioni economiche e commerciali, fino a limitazioni nello spazio aereo.

Il quadro più ampio

L’attacco a Doha è percepito come uno spartiacque. Per i Paesi del Golfo, che dalla guerra del 1990 hanno fatto affidamento sulla protezione americana, il raid israeliano mette in dubbio la capacità di Washington di garantire la sicurezza non solo contro l’Iran, ma anche contro azioni imprevedibili del suo principale alleato regionale. La sensazione che Israele agisca senza più limiti, con il tacito via libera della Casa Bianca, mina la credibilità degli Stati Uniti come mediatore.

C’è poi il rischio che a pagare il prezzo politico sia l’architettura della normalizzazione. Gli Accordi di Abramo, celebrati da Donald Trump come successo strategico, rischiano di perdere slancio: Abu Dhabi ha già fatto filtrare segnali di irritazione, mentre Riad ha definito l’attacco un “atto criminale”. La prospettiva di una normalizzazione tra Israele e Arabia Saudita, obiettivo dichiarato di Washington, appare oggi più lontana.

Prospettive

Il vertice straordinario di Doha è dunque duplice banco di prova: la capacità del mondo arabo-islamico di tradurre la rabbia in azione coordinata, e la tenuta della strategia americana che puntava a integrare Israele nella regione. Un fallimento nel dare risposte concrete rischierebbe di trasformare il summit in un déjà-vu di condanne senza conseguenze. Ma se, come suggeriscono alcuni delegati, emergeranno misure tangibili, Doha potrebbe segnare l’inizio di una nuova fase nei rapporti arabo-israeliani.

Autore
Formiche

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