A cosa punta la Turchia come componente della Nato
- Postato il 26 novembre 2024
- Esteri
- Di Formiche
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Palestina, terrorismo, ma soprattutto il prossimo vertice Nato del 2026 che verrà organizzato proprio in Turchia. L’incontro a porte chiuse tra il neo segretario generale dell’alleanza Mark Rutte e il presidente Recep Tayyip Erdoğan ha un valore strategico, oltre che di merito sui dossier più importanti. Perché si pone come il primo di una fase del tutto nuova del paese all’interno della Nato stessa, ma che va letto in filigrana rispetto a due elementi che si intrecciano geopoliticamente: la possibile cooperazione in materia di forniture all’industria della difesa e l’adesione turca alla Brics.
I temi in discussione
La Turchia è stata tra gli ultimi Stati membri ad appoggiare la candidatura di Rutte al dopo Stoltenberg, negando il suo sostegno fino alla fine del mese di aprile: passaggio che, sebbene non rappresenta un problema personale per un pragmatico come Rutte, ha una certa rilevanza nell’economia complessiva del ragionamento. All’incontro tra Erdoğan e Rutte hanno partecipato il ministro degli Esteri Hakan Fidan, il ministro della Difesa Yaşar Güler e il direttore delle comunicazioni presidenziali Fahrettin Altun.
La guerra tra Russia e Ucraina e le misure da adottare per porre fine al massacro in Palestina sono i primi due temi affrontati nel bilaterale. La Turchia rivendica di sostenere l’integrità territoriale dell’Ucraina e di aver fornito supporto militare a Kyiv. Ma secondo Rutte i temi vanno legati da un ragionamento che tocchi anche le crescenti sfide per il blocco e per la sicurezza collettiva della Turchia, tra cui la minaccia del terrorismo, oltre alla guerra in Ucraina e la crisi in Medio Oriente. “In un mondo sempre più imprevedibile, la Turchia apporta un contributo inestimabile alla Nato”, ha detto, mentre Erdoğan lo ha ringraziato per la solidarietà mostrata all’alleanza alla Turchia dopo l’attacco terroristico alla Turkish Aerospace Industries (TAI) che ha causato la morte di cinque persone e il ferimeto di 20 un mese fa, fabbrica che è stata oggetto di una visita da parte di Rutte proprio a dimostrazione della sua importanza strategica.
Il ruolo turco ibrido
Ma non va dimenticato che la Turchia è in qualche modo membro ibrido dell’alleanza, dal momento che si oppone anche alle sanzioni occidentali contro Mosca, con cui condivide importanti legami in vari ambiti (difesa, energia). Lo stesso Erdoğan si è opposto alla decisione degli Stati Uniti di consentire all’Ucraina di usare missili a lungo raggio per attaccare all’interno della Russia, affermando che ciò avrebbe ulteriormente infiammato il conflitto.
Inoltre il ministro Fidan poche ore prima aveva ripreso il filo della narrazione russa sui rischi nucleari, osservando che “la guerra in corso in Ucraina e la guerra in corso a Gaza stanno approfondendo le linee di faglia, riunendo alcuni attori e aumentando la polarizzazione”. Per poi lanciare un messaggio forte e chiaro: “Ovviamente, non appena si menziona il nome nucleare, c’è un rischio. L’uomo sta dicendo: ‘Se lanciate più missili e attacchi nel mio territorio di quanti io possa tollerare, se il modo per fermarlo non è con i mezzi a mia disposizione, userò un altro mezzo superiore’. Lo dice apertamente. Non è uno scherzo. L’altra parte sta dicendo: ‘Avete armi nucleari, ma non vi permetterò di invadere nessun posto che volete perché mi minacciate con armi nucleari’.
Scenari
Sullo sfondo resta una traccia strategica, utile per comprendere mosse e contromosse: l’ambizione erdoganiana di essere “Ceo del post guerre”, in un frangente (forse più vicino in Ucraina, che a Gaza, almeno al momento) dove bisognerà gestire la ricostruzione e la rete di relazioni conseguenti, senza dimenticare le decisioni in merito che verranno adottate della nuova amministrazione americana. Per questa ragione Erdogan si è già premurato di invitare Donald Trump a Istanbul, certo che la visita possa rafforzare la cooperazione tra Turchia e Stati Uniti e portare a una relazione “diversa dal precedente mandato di Trump”, quando molte divergenze hanno causato dazi punitivi che secondo Erdogan hanno danneggiato l’economia turca.