A caccia del record: Giorgia Meloni verso il governo più longevo della Repubblica, tra ironia e sfide politiche

  • Postato il 26 giugno 2025
  • Di Panorama
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Palazzo Chigi è ormai la mia prigione». Giorgia Meloni, con i più fidati, ci scherza su. Ma neanche troppo. Giura: s’è immolata non per sete di potere, ma per senso del dovere. Tra stucchi e arazzi, quelle pompose sale talvolta sembrano un dorato esilio. Il tracollo del centrosinistra al referendum accentua il senso del confino: «Mi tocca rimanere per dieci anni», commenta sarcastica. È il corollario all’assioma morettiano: «Con questi dirigenti non vinceremo mai!». Basta un’occhiata alla mal assortita opposizione per trovare conferma: l’anatema resta attualissimo. 

Così, la premier italiana si prepara a frantumare ogni record di resistenza. Eravamo abituati ad accrocchi tecnici e balneari. Meloni, però, è presidente del Consiglio dal 22 ottobre 2022. Sono passati due anni e otto mesi. 

Un’eternità, visti i precedenti. È il quinto governo più longevo della storia repubblicana. In autunno è destinato a superare per durata sia l’esecutivo di Renzi che quello di Craxi. Sul podio, dunque. Terza piazza. Per poi puntare al primato assoluto del Berlusconi bis: 1.412 giorni. 

Manca un anno abbondante per eguagliarlo, certo. Quasi un’era geologica nella politica. Mai come adesso, comunque, il prosieguo sembra senza impedimenti. Il centrosinistra era già ectoplasmatico, figurarsi dopo la scoppola referendaria. E la Cgil pare più anacronistica che mai. Invece la maggioranza, nonostante qualche scaramuccia, tiene botta. Le riforme sono avviate. L’economia non va malaccio. Meloni s’è guadagnata un ruolo centrale non solo nella politica europea, ma pure internazionale. Donald Trump, il presidente americano, non è un tipino facile. E la premier resta finora l’unica pontiera possibile tra le due sponde atlantiche. Le inusuali lodi della stampa internazionale attestano un successo non annunciato.         

Strada in discesa, quindi. Eppure, la sfida è epocale. Sarebbe il primo presidente del Consiglio a completare un’intera legislatura. Donna, per di più. Di destra, poi. L’inimmaginabile diventa presumibile. Meriti propri si mescolano a demeriti altrui. «Nessuno vuole diversamente», rivela un colonnello in via della Scrofa, la sede di Fratelli d’Italia. «Non esistono differenti opzioni, né ipotetiche strategie». Elly Schlein, segretaria del Pd, s’è faticosamente costruita l’ambito ruolo di anti Giorgia. Resta l’unica garanzia per venir insignita del ruolo di contendente alle Politiche. Rivalità perfetta. Donne, ma agli opposti. «Senza Giorgia non c’è Elly», compendia il meloniano. Il destino della segretaria è legato a quello della premier. E gli alleati? «Ma ‘ndò vanno?», domanda retoricamente, mutuando il verace romanesco orecchiato nella Capitale. Forza Italia e Lega non si amano, per carità. 

Ma non potrebbe essere altrimenti. A Bruxelles ingrossano le fila di gruppi antitetici: popolari e patrioti. 

A Roma, però, stanno insieme da trent’anni, con alterne fortune. «Pataccaro!», diceva Silvio Berlusconi di Umberto Bossi. E il Senatur, al Cavaliere: «Povero pirla!». Cosa volete che siano i vivaci scambi sul terzo mandato tra i due successori, Antonio Tajani e Matteo Salvini? 

Lega e Forza Italia, nei sondaggi, rimangono appollaiati: tra l’8 e il 9 per cento. Piò o meno, lo stesso risultato delle Politiche. Fratelli Italia è il baricentro. Era al 26 per cento. Adesso viaggia intorno al 30. L’allargamento a liberali e moderati appare inesorabile. Il vicepresidente della Commissione europea, per esempio: è Raffaele Fitto, già diccì e poi forzista. Il più recente ingresso è l’ex segretario della Cisl, Luigi Sbarra, diventato sottosegretario a Palazzo Chigi. Primo ex leader sindacale della Triplice a non venir arruolato dal Pd. 

«La nomina mi ha colpito. Meloni sta costruendo un blocco sociale e politico che resterà», avverte l’ex ministro dem Andrea Orlando, malcelando preoccupazione. 

Nei salottini televisivi progressisti, intanto, continuano a chiamarla sdegnosamente «destra-destra». Agitano allarmi democratici, frammisti a derive autoritarie. Risultato: lo scorno referendario, per dire l’ultima. Comunque sia: il partito meloniano si avvicina ai tempi d’oro di Forza Italia. La coalizione, nelle indagini demoscopiche, sfiora il 50 per cento. Altro record. Rovesciando l’aforisma andreottiano: il potere logora anche chi ce l’ha. Soprattutto, elettoralmente. Dopo due anni nessun governo è mai riuscito ad aumentare i consensi, gongolano in via della Scrofa. Snocciolano dati e tabelle: diminuisce il rapporto tra deficit e Pil, le agenzie di rating sono benevole, la borsa sale, lo spread scende. «Significa più soldi in tasca». A onor del vero: non è l’impressione generalizzata. Anzi. Per questo, si procede con la riforma del fisco, per sostenere stavolta il ceto medio. Mentre è ormai avviatissima quella della giustizia. 

Ma è il premierato, assicura Giorgia, «la madre di tutte le riforme». Vorrebbe approvarla entro la primavera 2027. Per entrare il vigore è necessaria la maggioranza di due terzi in Parlamento. Improbabile. Sarebbe quindi necessario un referendum, nella prossima legislatura. Magari in autunno. 

Perché il governo vorrebbe anticipare le Politiche a giugno 2027, da accorpare alle amministrative. Spera che il voto nazionale traini quello nei comuni. Si vota in alcune delle più importanti città italiane: a partire da Roma, Milano e Torino. Tutte guidate dal centrosinistra. L’election day, allora, potrebbe fare al caso della maggioranza. La prova è ostica. Per la riconferma a Palazzo Chigi non si vedono temibili rivali. Sui territori, però, la concorrenza rimane agguerrita. Genova è stata appena persa. Ora si avvicinano le regionali d’autunno. Andranno al voto: Veneto, Marche, Campania, Puglia, Toscana e Valle d’Aosta. Il centrodestra guida le prime due. Il campo largo sogna di espugnare le Marche, l’«Ohio d’Italia». In Veneto, invece, il leghista Luca Zaia aspira al terzo mandato. Per mesi è sembrata un’opzione irrealizzabile. Ma il Doge non ha mai smesso di dare battaglia, spalleggiato dai colleghi leghisti. 

Stallo messicano, dunque. Fino all’improvvisa apertura di Giovanni Donzelli, responsabile organizzativo di Fratelli d’Italia: «Siamo pronti a discuterne con le regioni». Una mandrakata. Zaia potrebbe nuovamente stravincere. Mentre in Campania riciccia Don Vincenzo De Luca. Schlein non vedeva l’ora di liberarsi del re dei «cacicchi». Ma lui agogna l’ultima disfida, persino solitaria. In Puglia, invece, pare sicura la candidatura di Antonio Decaro. 

Ma Michele Emiliano, attuale presidente, venderà carissima la sua pellaccia. Forza Italia, però, resta contrarissima alla deroga. Poco male. Il gesto di buona volontà servirà, comunque, ai meloniani: per evitare grane con i governatori del Carroccio e a creare scompiglio tra gli avversari.

Ogni giorno, certo, ha la sua pena. In Italia: economia, riforme, candidature. Pure le crisi internazionali si susseguono. All’estero la premier è però sempre più rispettata. Un anno fa, durante il G7 a Borgo Egnazia, danzava spavalda al ritmo della pizzica salentina. Giorgia ballava da sola, nel suo lungo abito bianco, attorniata dagli stupiti cavalieri. Un anno dopo, arriva al summit canadese in compagnia della figlia Ginevra. Il momento è particolarmente tribolato: Ucraina, Iran, Gaza, dazi. Lei volteggia da un bilaterale all’altro. Con Trump, che la considera «una donna fantastica», improvvisa un vertice su una panchina. 

Giorgia è la riconosciuta paciera. 

Ha già propiziato, a metà maggio, l’incontro a Roma tra Ursula von der Leyen, presidente della commissione europea, e J.D. Vance, vice di Donald alla Casa Bianca. «È stata la nuova Pratica di mare», suggerisce il colonnello. Come lo storico incontro tra Vladimir Putin e George W. Bush del 2002, organizzato da Berlusconi. 

I giornali stranieri applaudono: è la regina d’Europa. In Italia, gli abborracciati avversari alternano logore accuse ad acidità gastrica. Pure il referendum è andato. «Adesso mi tocca rimanere altri dieci anni», ironizza Giorgia. Nel «penitenziario  Chigi» l’attende una lunga reclusione.

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Panorama

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