8 marzo, Cgil: “Servono risorse su lavoro e sociale per abbattere le differenze di genere”
- Postato il 7 marzo 2025
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- Di Genova24
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Genova. In Liguria le donne sono più istruite degli uomini ma guadagnano meno, hanno carriere discontinue, un maggiore ricorso ai trattamenti di disoccupazione e quindi pensioni più basse. È un quadro che purtroppo si rinnova ogni anno e che è ancora lontano dall’essere risolto. Per Cgil Genova e Liguria è necessaria una rivoluzione culturale trasversale alla società che deve trovare il sostegno di risorse economiche senza le quali sarà difficile eliminare le disparità di genere tra uomini e donne.
“Quella delle differenze di genere è una condizione che pesa sulle donne che peraltro, in questa perenne incertezza, spesso non hanno vie di uscita a condizioni di violenza e abusi – si legge nella nota stampa di Cgil – L’incertezza economica, soprattutto quando si è madre, insieme alla mancanza di politiche sociali di genere, è il contesto nel quale la donna è costretta a dover restare. La disparità di genere si riscontra già nel titolo di studio e si conferma nel lavoro: la statistica infatti ci ricorda come rispetto al titolo di studio le donne hanno un’incidenza della laurea molto superiore alla media (33,4% verso il 20,4% dei maschi). A fronte di ciò, i dati Istat elaborati dal responsabile dell’Ufficio Economico Cgil Genova e Liguria indicano un tasso di occupazione femminile molto più basso rispetto agli uomini: in Liguria nel 2023 era pari al 60,1%, rispetto al 74,8% dei maschi (ISTAT) con un divario di genere di oltre 14 punti percentuali. Anche l’instabilità occupazionale è donna: le assunzioni in Liguria nei primi tre trimestri del 2024 sono state solo per il 43% destinate alle donne, solo il 10,1% viene assunta a tempo indeterminato a fronte del 12,8% degli uomini e quasi una su due (49%) con un contratto a tempo parziale (uno su quattro per gli uomini)”
“Questa condizione si riflette sulle retribuzioni – continua la nota – la differenza tra maschi e femmine è di quasi 10 mila euro (-9.370,38 euro), cifra che si ricava dalla differenza tra media retributiva di una dipendente del settore privato (17.995,70 euro) rispetto a quella di un lavoratore dipendente (27.366,08 euro). Analoga sorte sotto l’aspetto pensionistico: lavorare meno degli uomini, con paghe più basse e con carriere discontinue dovute spesso al lavoro di cura (bambini e anziani) o a periodi più frequenti di disoccupazione (il 55% dei beneficiari della NASPI è una donna), si riflette sulle pensioni: nel 2024 gli importi medi mensili liquidati alle donne nel 55% dei casi rimangono sotto i 1.000 euro, mentre le pensioni liquidate ai maschi – una su quattro – era superiore ai 2.000 euro (INPS)”.
“Per questo è importante che proprio le donne votino convintamente ai referendum di questa primavera – conclude il comunicato di Cgil – che pongono limiti alla precarietà, ai licenziamenti discriminatori, ai meccanismi che mettono a rischio la sicurezza sul lavoro, e che chiedono di riconoscere il diritto alla cittadinanza a migliaia di donne che vivono, studiano e lavorano nel nostro Paese”.