7 ottobre, il racconto di uno dei primi soccorritori

  • Postato il 25 novembre 2025
  • Estero
  • Di Agi.it
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7 ottobre, il racconto di uno dei primi soccorritori

AGI - Corpi ovunque, centinaia di giovani uomini e donne insanguinati ancora con addosso i loro abiti da festa. Questo è lo scenario a cui assiste poche ore dopo il massacro del 7 ottobre, Chaim Otmazgin, ufficiale della riserva militare israeliana e comandante di Zaka (un gruppo di soccorso volontario in Israele specializzato nel campo della ricerca di persone scomparse e al pronto intervento in caso di incidenti o attentati terroristici) appena arrivato a Reim, dov’era in corso il Nova Festival, in quello che verrà definito il luogo più letale dell'attacco guidato da Hamas contro Israele il 7 ottobre 2023.
Quei momenti, Otmazgin li racconta, nel cuore di Gerusalemme, a un gruppo di giornalisti, di cui l’AGI fa parte.

“Alle 7 del mattino del 7 ottobre - ricorda Otmazgin mentre indossa l’uniforme di quel giorno - ricevo la chiamata da un ufficiale che pronuncia quattro parole: ‘War come to the base’. Signifca emergenza totale. Era Shabbath e l’ultimo giorno della festività ebraica di Sukkot, ma l’emergenza è la prima priorità, come previsto nella Torah. Hamas aveva appena lanciato l’operazione ‘Alluvione Al Aqsa’. “Così - prosegue Otmazgin - non c'era altra cosa da fare: mia moglie ha subito preparato la borsa e io sono partito, senza inizialmente sapere bene dove ero diretto ”.

Mentre ricostruisce i primi istanti in cui assieme ai suoi volontari ha raggiunto le zone dei kibbutzim e del rave party, Otmazgin mostra le immagini dei massacri che in Europa quasi nessuno ha visto. La moglie che lo accompagna gli porge una pila di foto che testimoniano i massacri: corpi tagliati a pezzi, bruciati, violati, umiliati, di cui Zaka ha lo straziante compito di rimetterli insieme, tessuto per tessuto, per rendere possibile la sepoltura ebraica, che per Israele è una ragione d’ordine religioso, civile e militare. “Ricomporli è stato straziante, ma ancora più tremendo - sottolinea - è stato spegnere le fiamme appiccate dai miliziani di Hamas che si ‘mangiavano’ le salme”.

A un certo punto, arriva la foto di una bambina di otto anni ritrovata senza vita e massacrata, e Otmazgin, con la voce rotta interrompe il suo racconto. Aveva la stessa età di uno dei suoi figli. Da quel momento, spiega, ha fatto una promessa a lei e a tutte le vittime recuperate quel giorno: non permettere che il loro destino venga dimenticato. “E il minimo che possiamo fare – conclude con la voce che si incrina appena – è testimoniare ciò che abbiamo visto. Per loro. Per le loro famiglie. Per Israele”.

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Autore
Agi.it

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