7 ottobre 2023: Hamas attacca Israele

  • Postato il 7 ottobre 2024
  • Di Focus.it
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Com'è nato lo Stato d'Israele attraverso l'articolo "Ritorno a Sion" di Riccardo Michelucci, tratto dagli archivi di Focus Storia.. Profetico. "Ho appena fondato lo Stato ebraico. Se lo dicessi oggi a voce alta, susciterei una risata generale. Forse però tra cinque anni o tra cinquanta tutti lo ricorderanno". Era il 31 agosto del 1897 quando il giornalista ebreo-ungherese Theodor Herzl (1860-1904) pronunciò parole, che dovevano rivelarsi profetiche. In quei giorni, su invito dello stesso Herzl, circa duecento delegati provenienti dall'Europa, dagli Stati Uniti e dalla Russia si erano riuniti a Basilea per dar vita al primo Congresso sionista. All'apertura dei lavori avevano ricevuto un distintivo di riconoscimento con il leone di Giuda circondato dalla stella di David e l'iscrizione "la nascita dello Stato ebraico è l'unica soluzione possibile della questione ebraica". Le origini. Nella sala si respirava l'atmosfera dellegrandi occasioni. Lo scrittore Max Nordau (1849-1923), anch'egli originario di Budapest e grande sostenitore di Herzl, si aggirava nervosamente dietro al palco. Era stato lui a redigere il programma della Costituente che avrebbe portato alla creazione di uno Stato ebraico. Herzl, da allora considerato il padre fondatore del sionismo politico, aveva gettato le basi del progetto appena un anno prima, nel 1896, dando alle stampe Lo Stato ebraico, un saggio che ebbe un'enorme risonanza tra gli ebrei d'Europa e divenne il manifesto programmatico del movimento.. Non per forza Sion. Alcuni anni prima, sulla rivista Selbst-Emanzipation, l'intellettuale viennese Nathan Birnbaum (1855- 1920) aveva già usato il termine "sionismo" per indicare il sogno del ritorno al Monte Sion, luogo del primo insediamento cananeo nel 2400 a.C. Essendo stati testimoni del crescente nazionalismo tedesco all'interno dell'Impero asburgico, sia Herzl sia Birnbaum si erano convinti che il popolo ebraico della diaspora dovesse avere quanto prima una patria. Al congresso di Basilea del 1897 furono gettate le basi dell'organizzazione sionista con un esecutivo presieduto dallo stesso Herzl. «Sulla questione del territorio in cui costruire lo Stato ebraico il congresso però non scelse subito la Palestina», spiega Arturo Marzano, storico del sionismo all'Università di Pisa. «Nel decennio successivo ci fu un dibattito molto acceso tra chi sosteneva quella ipotesi e chi, come Herzl, avrebbe accettato anche un'altra regione, purché vi fosse il consenso di qualche governo europeo».. UNA PATRIA: MA DOVE? Lo scopo primario individuato a Basilea fu proprio quello: convincere le potenze mondiali a sostenere gli obiettivi del sionismo. Herzl tentò la via diplomatica prima con la Germania, poi con l'Impero ottomano, infine con quello britannico. Mentre Berlino e Istanbul si mostrarono riluttanti, Londra propose inizialmente un insediamento ebraico in Africa Orientale, in un'area dell'attuale Kenya (allora colonia britannica). L'opzione africana fu però definitivamente bocciata dal sesto congresso sionista, nel 1903. L'anno dopo Theodor Herzl morì senza avere raggiunto il suo obiettivo. Tuttavia, le sue idee avevano dato vita a una prima struttura organizzativa unitaria, che avrebbe fornito le basi del futuro Stato. A realizzare il sogno dell'appoggio da parte di una potenza europea, nello specifico dell'Impero britannico, fu il chimico di origini russe Chaim Weizmann (1874-1952). Il suo capolavoro diplomatico fu la Dichiarazione Balfour del 2 novembre 1917, con la quale i britannici riconoscevano per la prima volta agli ebrei "il diritto a una casa in Palestina".. Interessi britannici. «La motivazione principale della Dichiarazione», sostiene Marzano, anche autore del saggio Storia dei sionismi. Lo Stato degli ebrei da Herzl a oggi (Carocci), «va ricercata nella volontà inglese di stabilirsi in un'area ritenuta strategicamente centrale per la propria politica estera, vicina al Canale di Suez, e quindi fondamentale per il commercio con l'India, ma anche accanto alla Mesopotamia, con i suoi pozzi petroliferi, utili per mantenere la supremazia militare, politica ed economica. I sionisti furono ritenuti il modo migliore per legittimare la scelta inglese di stabilirsi in Palestina». Con la Dichiarazione Balfour nacque dunque la Palestina mandataria sotto il controllo britannico, mentre nel 1923 il movimento sionista fondò l'Agenzia ebraica, cui fu affidato il compito di affiancare l'amministrazione inglese.. Uno stato indipendente. In pochi anni, il Mandato britannico trasformò la comunità ebraica – che nel 1922 costituiva poco più dell'11% della popolazione mandataria (cioè quella sotto il mandato britannico della Palestina, composta da ebrei, arabi e altri) – in una nazione che nel 1946 contava il 31% di ebrei e che disponeva di tutti i requisiti necessari per diventare uno Stato indipendente: un governo, partiti politici, un sistema scolastico e sanitario, un'economia funzionante e un esercito che rispondeva alla leadership politica. Ma il sionismo non è mai stato un movimento monolitico e negli anni ha prodotto opzioni politiche in contrasto tra loro. Alla visione di Chaim Weizmann, che sosteneva la necessità di creare uno Stato palestinese arabo-ebraico, si contrappose quella dei "sionisti revisionisti" del russo Zeev Jabotinskij (1880-1940), più accentuatamente nazionalisti, i quali volevano creare uno Stato esclusivamente ebraico, cacciando gli arabi da quelle terre.. IL RUOLO DEGLI USA. La Seconda guerra mondiale, con lo sterminio di milioni di ebrei in Europa, segnò uno spartiacque decisivo. La spinta verso la creazione di uno Stato ebraico in Palestina divenne sempre più forte, mentre il movimento sionista otteneva un crescente sostegno internazionale, in primo luogo dagli Stati Uniti. «La Shoah trasformò il sionismo in un rifugio, rappresentò quella salvezza che la stragrande maggioranza degli ebrei dell'Europa Centrale e Orientale sopravvissuti allo sterminio non vedevano più garantita nei loro Paesi», prosegue Marzano. «Confermò quello che il sionismo aveva detto fino ad allora, ovvero che la soluzione della questione ebraica poteva essere soltanto uno Stato ebraico e che gli ebrei avevano bisogno di una loro patria perché non si ripetesse più quanto era accaduto». Fu in questo clima che nel 1947 si giunse a un primo tentativo di soluzione politica: nel novembre di quell'anno le Nazioni Unite si pronunciarono a favore della spartizione della Palestina in due Stati indipendenti. La proposta fu però respinta dagli arabi, che volevano la creazione di un unico Stato arabo-ebraico. Scoppiò una breve guerra civile che vide le forze sioniste uscire vittoriose (costringendo molti arabi della Palestina a un primo esodo, origine della "questione palestinese") e dar vita infine allo Stato d'Israele. L'indipendenza fu proclamata il 14 maggio 1948, poche ore prima della scadenza del mandato britannico.. NESSUNO SPAZIO COMUNE. Chaim Weizmann venne eletto primo presidente della Repubblica. L'uomo che dominò la scena politica israeliana nel Secondo dopoguerra fu però David Ben Gurion (1886-1973), leader dei "sionisti socialisti" e primo ministro di Israele quasi ininterrottamente dal 1948 al 1963. Il suo obiettivo fu quello di consolidare il Paese attraverso una vasta immigrazione ma, come affermava lo storico israeliano Zeev Sternhell, "nei discorsi di Ben Gurion non compariva mai alcun accenno all'uguaglianza, alla giustizia e ai valori universali. Il socialismo era diventato un mezzo per la realizzazione del sionismo" . Critiche interne. In Israele iniziarono a levarsi voci critiche dagli Anni '50. Una fu quella della filosofa Hannah Arendt, che contestò il principio dell'esistenza di uno Stato-nazione ebraico, poiché escludeva a priori la creazione di uno spazio comune in cui arabi ed ebrei avrebbero potuto convivere. «Tali voci rimasero però inascoltate», continua Marzano, «e questa mancata presa di coscienza portò il sionismo ad arroccarsi sempre più nella visione nazionalista».. POST-SIONISTI. Il sionismo è ancora oggi un fenomeno variegato. Alla fine degli Anni '80 una nuova generazione di intellettuali israeliani ha dato vita al "post-sionismo", che ha messo in discussione la natura dello Stato di Israele, criticando la colonizzazione della Cisgiordania e le perduranti discriminazioni nei confronti del popolo palestinese. «I post-sionisti», conclude Marzano, «ritengono che se si crede in uno Stato pienamente democratico è giunto il momento di passare da uno Stato ebraico a uno che garantisca diritti a tutti i suoi cittadini». Ma la violenza riesplosa nell'ultimo anno ha ancora una volta suggellato il fallimento della politica..
Autore
Focus.it

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