Sono passati ottant'anni dai bombardamenti atomici avvenuti il 6 e il 9 agosto del 1945 che provocarono nel complesso circa 200.000 decessi, ma raccontare e ricordare questa tragedia per i giapponesi non è stato affatto facile. Per i sopravvissuti – gli hibakusha – fu un percorso doloroso, tra oscuramenti della verità, rimozioni e dispute sulla memoria.. Bombe e censura. L'ordigno che colpì Hiroshima il 6 agosto 1945 rase al suolo quasi il 90% degli edifici della città, anche se l'opinione pubblica giapponese non ebbe l'immediata percezione di una differenza rispetto a precedenti bombardamenti. Del resto più di sessanta centri giapponesi erano già stati duramente attaccati dagli Alleati, senza risparmiare i civili. Inoltre i vertici militari del Giappone non avevano preventivato un attacco militare di quel tipo.
Solo con il passare delle ore non fu più possibile ignorare la gravità dell'evento. Eppure quando anche il fisico Nishina Yoshio, responsabile del programma nucleare giapponese, confermò la natura dell'ordigno, scattò subito la censura, con una limitazione netta tra quel che il governo giapponese sapeva e quel che veniva divulgato alla popolazione.. Perché minimizzare? Anche a seguito del bombardamento su Nagasaki il 9 agosto, mentre si iniziava pubblicamente a parlare di crimini contro l'umanità, le autorità cercarono di minimizzare i danni subiti per ridimensionare le difficoltà del Giappone. Si tentò anzi di convincere i giapponesi del fatto che sarebbero state trovate efficaci contromisure per il nuovo tipo di bomba, evitando così la resa.
«Il tono della narrazione» – sostiene Sonia Favi, docente di storia del Giappone all'Università di Torino – «mutò quando la sconfitta fu certa. Il 15 agosto, in un evento mediatico senza precedenti, l'imperatore fece udire la propria voce alla popolazione, con un comunicato radiofonico in cui annunciava la resa, presentandola come presa di responsabilità verso l'umanità: proprio per il nuovo tipo di bomba, la decisione di continuare a combattere rappresentava un rischio per l'intera civiltà umana. Prese forma allora quello che si consolidò poi nel tempo come l'approccio ufficiale giapponese alla memoria dell'atomica».. Tragedia oscurata. I due ordigni nucleari sganciati dagli Stati Uniti, con il nome in codice Little Boy e Fat Man, vennero costruiti nell'ambito del progetto Manhattan, il programma di ricerca e sviluppo coordinato dal generale Leslie Groves e diretto dal fisico J. Robert Oppenheimer.
Il loro impiego, a seguito di lunghe e tortuose discussioni, fu però il frutto di una decisione politica presa all'interno dell'amministrazione guidata dal presidente Harry S. Truman. E fu un punto di non ritorno. I morti immediati furono quasi 80.000 a Hiroshima, situata a ovest dell'isola di Honshū, e 40.000 a Nagasaki, sulla costa sud-occidentale dell'isola di Kyūshū. Decine di migliaia di persone persero la vita nei giorni, nelle settimane e nei mesi successivi per ulteriori complicazioni sanitarie. Le esplosioni causarono poi lesioni invalidanti, menomazioni visibili e un aumento dell'incidenza di diverse patologie.. hibakusha. I primi rapporti sugli effetti delle radiazioni sui sopravvissuti (identificati con il termine "hibakusha") vennero pubblicati presto. Tuttavia, con l'avvio dell'Occupazione alleata nel settembre del 1945, in Giappone divenne molto difficile, se non impossibile, conoscere in modo accurato quanto accaduto a Hiroshima e Nagasaki.
Questo per via di un sistema capillare di controllo delle informazioni che, sostituendosi ai precedenti metodi di censura dell'impero, venne imposto dagli statunitensi e supportato dai governi giapponesi. Fino al 1952 in Giappone operò il Civil Censorship Detachment (CCD), un organismo dell'amministrazione militare statunitense incaricato di monitorare e filtrare le comunicazioni pubbliche e private per gestire la fase di transizione ed evitare la diffusione di messaggi che potessero rivitalizzare il nazionalismo giapponese.
Tutto ciò accadde negli anni cruciali in cui si saldò l'alleanza nippo-statunitense in funzione antisovietica, nel quadro della Guerra fredda.. La difficoltà di raccontare. Continua la professoressa Favi: «Non vennero ostacolate le ricerche sugli effetti delle radiazioni, ma durante l'Occupazione esse furono vincolate all'obbligo di inviare materiali e risultati negli Stati Uniti, e all'impossibilità di pubblicare liberamente i risultati in Giappone. La circolazione di opere che trattavano della bomba, di reportage fotografici e di documentari fu ugualmente ostacolata. Solo dopo la fine dell'Occupazione, nel 1952, iniziarono a essere pubblicati i primi scritti di quella che dagli anni Sessanta avrebbe iniziato a essere nota come genbaku bungaku, letteratura della bomba atomica».
Le prime foto che raffiguravano da vicino i sopravvissuti vennero pubblicate solo in occasione del ventesimo anniversario degli attacchi nucleari, nel 1965. Il primo film documentario fu del 1970. Uno dei fattori che rallentò la divulgazione di documenti e testimonianze fu anche l'autocensura da parte dei superstiti, in un clima sociale che rendeva assai complesso metabolizzare il trauma subito.. Lo stigma. I sopravvissuti dovettero convivere a lungo con il timore dello stigma associato all'esposizione alle radiazioni. In assenza di pubblicazioni scientifiche sul tema, infatti, moltissimi giapponesi avevano paura di poter essere contagiati. Ne risentì anche la gestione medica degli stessi sopravvissuti: soltanto nel 1957 vennero implementati programmi di supporto pubblico per i trattamenti necessari.
Andò peggio ai tantissimi coreani che, dopo l'occupazione giapponese della Corea, erano stati trasferiti forzatamente in Giappone per essere inquadrati nel servizio nazionale del lavoro. Quelli che vissero l'inferno atomico senza morire spesso non ricevettero cure adeguate.
Anche quando si iniziò a riflettere su Hiroshima e Nagasaki, la difficoltà nel venire a patti con le responsabilità di guerra si associò, infatti, alla priorità assegnata ai sopravvissuti giapponesi.. Fantasmi del passato. Il ricordo di Hiroshima e Nagasaki ha accompagnato la fase di ricostruzione del Giappone nel dopoguerra, all'insegna di una nuova costituzione democratica promulgata sotto la supervisione degli Alleati e fondata su alcuni assunti specifici, tra tutti il respingimento della guerra come strumento di politica estera.
Il disastro nucleare non produsse irrimediabili conseguenze ambientali, soprattutto per via dell'ancora limitata potenza degli ordigni (a differenza di quelli attuali) e di una serie fattori atmosferici e territoriali che circoscrissero l'estensione della zona contaminata. Tuttavia nella società giapponese nacque fin dagli anni Cinquanta anche un forte attivismo antinuclearista legato proprio all'ecologismo. Sotto un altro punto di vista, la bomba atomica divenne, per il Giappone, il simbolo di una sconfitta subita in circostanze eccezionali e crudeli.. Una questione politica. Continua Favi: «Molti storici, ma anche molti attivisti antinuclearisti giapponesi, hanno però sottolineato gli aspetti problematici di questa narrazione, evidenziando come l'insistenza sulla dignità nella sconfitta, di fronte a una tragedia senza precedenti nella storia umana, abbia spesso contribuito a distogliere l'attenzione dai crimini di guerra commessi dallo stesso esercito giapponese. È bene in questo senso ricordare che la memoria della bomba atomica è stata e rimane, in Giappone, anche una questione politica. Le modalità con cui venne gestita l'informazione su Hiroshima e Nagasaki nei decenni successivi alla resa, per esempio, furono strettamente connesse ai rapporti di potere stabilitisi fra Giappone e Stati Uniti».. Il nucleare in Giappone. Nel 2011 l'incidente alla centrale di Fukushima Dai-ichi riavviò la discussione attorno all'uso militare e civile del nucleare e alla necessità di aggiornare costantemente i protocolli di sicurezza. Il danno venne allora provocato da un fortissimo terremoto e poi da un grande maremoto nella regione del Tōhoku e fu classificato con il più elevato grado di gravità previsto per eventi nucleari, il livello 7 della scala INES (International Nuclear and radiological Event Scale). Il sisma iniziale, di magnitudo 9, si verificò lungo una faglia di alcune centinaia di chilometri e fu più grave anche rispetto al recente terremoto a largo della costa della Kamchatka, regione dell'estremo oriente della Russia, che ha raggiunto una magnitudo di 8.8 e generato onde di d'acqua alte fino a 5–6 metri.
Il disastro di Fukushima costrinse oltre 150.000 persone ad evacuare la zona, comportò problemi di lungo periodo a causa delle emissioni radioattive e spinse il Giappone – di nuovo – a fare i conti con la propria storia.. La scelta del Giappone. Nel 1945 il Giappone era ancora in guerra contro gli Alleati, nonostante lo sgretolarsi delle forze che ruotavano attorno al Patto Tripartito, tra cui l'Italia fascista e la Germania nazista in Europa. L'espansionismo del Giappone nel sud-est asiatico, iniziato negli anni Trenta, si era contraddistinto per politiche di stampo coloniale e violente azioni militari.
Al contempo la società giapponese era stata militarizzata, specialmente dopo l'attacco alla base navale statunitense di Pearl Harbor. Un'operazione condotta senza preventiva dichiarazione di guerra, ma capace di mostrare tutta la portata dell'ambizione imperialista del Giappone. Per tutti i primi anni Quaranta erano stati esaltati principi come l'obbedienza, la disciplina e il sacrificio individuale. L'idea della sconfitta, anche quando la vittoria sembrava allontanarsi, si era fatta non solo inaccettabile, ma persino impensabile.. La fine di un impero. Isolato e logorato, il Giappone dell'imperatore Hirohito ancora nell'estate del 1945 non intendeva cedere, spinto da settori consistenti dell'élite militare, economica e culturale. A luglio gli Alleati emisero la Dichiarazione di Potsdam, chiedendo la resa incondizionata. Da Tokyo si rispose con un eloquente silenzio.
Secondo lo storico Norman Stone, il Giappone, pur essendo prigioniero di una "morsa terrificante", anche per via del fatto che l'Unione Sovietica aveva aperto un nuovo fronte nella regione cinese della Manciuria, si trovava allora nelle "spire del fanatismo e dell'illusione". A reciderle, quelle spire, fu la distruzione di Hiroshima e Nagasaki.
L'uso delle bombe atomiche consentì agli statunitensi di evitare un'invasione via terra del Giappone (secondo un piano già predisposto) e, con un costo umano altissimo, accelerò la fine della guerra nell'area de Pacifico, allora trasformato in un feroce teatro di scontri senza esclusioni di colpi. Da lì in avanti il nucleare ha finito per cambiare il corso della storia contemporanea, sollevando inquietanti interrogativi sull'interazione tra potere e progresso, scienza e politica..