46 anni dopo, le gemelle sottratte durante la dittatura di Pinochet ritrovano la madre biologica in Cile

  • Postato il 18 settembre 2025
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Un abbraccio lungo una vita. È quello che ha riunito, dopo 46 anni di silenzi e distanza, Adelia e Maria Beatrice Mereu con la loro madre biologica, María Verónica Soto. Una storia di dolore, speranza e tenacia che affonda le sue radici nel buio della dittatura cilena di Augusto Pinochet, ma che oggi si illumina di un nuovo inizio.

Tutto ha avuto inizio nel 1979, a Concepción, in Cile. María Verónica si reca con le sue due bambine di otto mesi per una visita pediatrica. Quel controllo, che doveva essere solo una routine, si trasforma in un incubo: le gemelle vengono trattenute dalle autorità, dichiarate adottabili, e infine allontanate definitivamente dalla madre. I documenti di nascita vengono falsificati: risultano prive di genitori. È l’inizio di un calvario.

Le piccole vengono trasferite in Italia l’anno successivo e adottate da una famiglia sarda, ignara delle vere circostanze dell’adozione. Crescono a Escalaplano, in provincia di Cagliari, con Maria Antonietta Chessa e Luciano Mereu. Un’infanzia segnata anche da un grave lutto: la morte prematura del padre adottivo, che le costringe, a soli 16 anni, a trasferirsi in collegio. È lì che Adelia conosce Riccardo, futuro marito e padre dei suoi quattro figli. Oggi vive a Lesmo, in Brianza, mentre la sorella Maria Beatrice risiede ad Anzio, vicino Roma.

Per decenni, le gemelle sono cresciute consapevoli di essere state adottate, ma ignare delle drammatiche circostanze che avevano portato a quella separazione. María Verónica, invece, non ha mai smesso di cercarle. Solo nel marzo scorso, un colpo di fortuna – e un pizzico di tecnologia – ha permesso il miracolo: Alessandro, uno dei figli di Adelia, decide per curiosità di caricare il proprio DNA sulla piattaforma MyHeritage. La sorpresa arriva poco dopo: una corrispondenza con una donna cilena, che due anni prima aveva fatto lo stesso test con l’aiuto dell’associazione Nos Buscamos, impegnata nel ricongiungimento delle famiglie separate durante il regime militare.

Da lì, una valanga di emozioni: messaggi, telefonate, conferme. Fino alla decisione di partire. Adelia e Maria Beatrice prendono un volo per Santiago del Cile. All’aeroporto, l’abbraccio atteso per quasi mezzo secolo. Madre e figlie si stringono senza bisogno di parole, nonostante la barriera linguistica. Le lacrime, i sorrisi e le telecamere raccontano ciò che le parole non riescono a esprimere.

“Non vedo l’ora di stare con lei, condividere del tempo insieme, conoscerla davvero”, racconta Adelia. “Abbiamo parlato tante volte del nostro passato, del bisogno di capire da dove veniamo. Ora possiamo finalmente voltare pagina.”

La storia di Adelia aveva già attirato in passato l’attenzione dei media locali. Insieme alla sorella, aveva lanciato una raccolta fondi per poter volare in Cile e conoscere la verità. Ma nessuna delle due avrebbe mai immaginato un epilogo così intenso.

E oggi, la famiglia si è estesa: oltre alla madre, le gemelle hanno scoperto di avere due fratelli, Alexis e Pedro, e una sorella acquisita, Darlin. “Abbiamo creato una chat di famiglia, ci scriviamo ogni giorno”, racconta Adelia. “Spero che un giorno potremo incontrarci tutti e abbracciarci anche con loro”.

Una vicenda che si intreccia con la memoria storica del Cile, dove centinaia di famiglie ancora oggi cercano figli scomparsi durante gli anni bui della dittatura. Una storia che testimonia quanto forte possa essere il legame tra una madre e i suoi figli, capace di resistere anche al tempo, alla distanza e all’oblio.

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Annalisa Crupi

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