28 anni dopo: il ritorno di Boyle nel mondo degli zombie tra sopravvivenza, trauma e provocazioni
- Postato il 20 giugno 2025
- Cinema
- Di Il Fatto Quotidiano
- 2 Visualizzazioni
.png)
I film di Danny Boyle ruotano praticamente sempre attorno a un piacere sadico esercitato dal suo autore/regista/sceneggiatore sui protagonisti maschili. Prendete The millionaire, 127 ore, Yesterday o a suo modo Millions. In mezzo a un contesto generale videoludico e iperspettacolarizzato, c’è sempre questo tentativo furiosamente realistico ed esasperato di sottoporre un uomo improvvisamente fragile a prove totalizzanti di sopravvivenza.
Non fa difetto 28 anni dopo: più che un horror un survival movie, più che un sequel del proprio 28 giorni dopo (2002) una specie di reboot. Ancora il virus della rabbia fuggita dal laboratorio che si propaga con un morso degli zombie. E ancora gli zombie ossessi che corrono come pazzi per infettare i sopravvissuti. Stavolta a farne le spese è Jamie, un bimbetto rinchiuso con altri frignanti mocciosi in un salotto a vedere i Teletubbies in tv, mentre di là mamma e vicini vengono sbranati dagli zombie. Il bimbo riesce a scappare, fugge dal padre prete inginocchiato in chiesa ad esaltare l’apocalisse, si nasconde sotto una grata, mentre il padre viene divorato, e intanto implora dio: “padre perché mi hai abbandonato?”. Stacco in nero.
Salto temporale di 28 anni presso Holy Island, un isolotto vero (Polanski che di incubi se ne intende ci girò Cul de sac) dove vive una comunità tornata ad una forma primitiva di vita tra il neolitico e il medioevale, sopravvissuta in quanto isolata, anzi collegata alla terraferma dell’Inghilterra invasa da “infetti” grazie a una strada rialzata che si percorre solo con la bassa marea. Jamie (Aaron Taylor-Johnson) è oggi un adulto barbuto e forzuto novello arciere pronto a far compiere il rito di iniziazione verso l’età adulta, arco e frecce in spalla, al figlioletto Spike (Alfie Williams): dovranno tornare sulla terraferma per un’esercitazione pratica su come si conficcano frecce acuminate nel collo dei nudi e celeri infetti senza rimetterci le penne. Non tutto va liscio come dovrebbe.
Insomma, la suspense da jumpscare è assicurata. Solo che Jamie tratta male la moglie Isla (Jodie Corner), disinteressandosi del suo disturbo psichico, che la costringe a letto come in preda a crisi convulsive, e tradendola con una popolana. Legato profondamente a mamma, e spinto da quel fuocherello inesausto sull’isola, che si intravede dalla torre, e che sarebbe il segno della presenza del “dottore” che potrebbe curare la madre, Spike inganno gli isolani e scappa con Isla sulla terraferma con direzione “dottore”. Anche qui non tutto andrà liscio e più che gli jumpscare iniziali si attraverserà una dimensione tragica e sacrale, finanche mistica sul senso della morte. 28 anni dopo è un po’ due film in uno (l’iniziazione all’omicidio e la fuga per la cura), ed è anche tanti piccoli sparpagliati dettagli che serviranno ai futuri capitoli due e tre della trilogia già pronta per svilupparsi.
La vivida confezione da alto budget mescola il ritmo sfrenato dell’action, budella penzolanti e sangue gocciolante dello splatter, la sonorizzazione inquieta e cantilenante, fino a ironici sberleffi politici. Oltre all’upgrade post Covid sull’infezione sociale e la mancanza obbligata di contatto umano è buffo che gli isolani si salvino in un metaforico salto alla Brexit (“l’Inghilterra è contaminata e separata dal mondo, il continente europeo non è stato toccato”). E nonostante tutto questo lucidato armamentario tecnico visuale (il film è girato con l’iperrealismo di diversi iPhone 15 Pro Max, dotati comunque di ottiche specifiche), Boyle ha comunque ostinatamente e cinicamente a cuore queste reiterate e totalizzanti prove di iniziazione per il povero Spike, costretto persino ad osservare intontito dalle droghe sparate con la cerbottana dal dottore (un Ralph Fiennes adamitico, cosparso di iodio, immerso tra i teschi, specie di Brando/Kurtz sul vallo di Adriano) l’eutanasia dell’amata mamma.
28 anni dopo è un film tecnicamente impeccabile, emotivamente angosciante, anche se la grana grossa con cui si esasperano sottotesti spesso emerge in una sorta di pacchiana e provocatoria esibizione: diteci voi se la figura/invenzione del maschio alpha degli infetti, sorta di superuomo intelligente e muscoloso, meno impulsivo e più riflessivo (leggasi più pericoloso) deve sfoggiare un evidente e imbarazzante segno di virilità in ogni scena di inseguimento e attacco letale?
L'articolo 28 anni dopo: il ritorno di Boyle nel mondo degli zombie tra sopravvivenza, trauma e provocazioni proviene da Il Fatto Quotidiano.