25 aprile, l’ultima battaglia di Milano ora per ora: i combattimenti in fabbrica, la fuga dei fascisti, l’occupazione degli edifici pubblici

  • Postato il 25 aprile 2025
  • Politica
  • Di Il Fatto Quotidiano
  • 2 Visualizzazioni

La prima puntata – La Liberazione lunga un mese: come si arrivò alla rivolta finale contro il nazifascismo

***

Il piano dell’insurrezione di Milano è stato approvato a metà febbraio. Prevede l’occupazione delle fabbriche e poi l’intervento di 400 militari della Guardia di Finanza che, da via Melchiorre Gioia, dovranno insediarsi in prefettura e altri edifici pubblici. Ma al momento, quando il sole comincia a illuminare mercoledì 25 aprile 1945 (la mattina soffia un vento fresco, poi ci saranno anche 20 gradi), il centro della città diventata capitale della Resistenza è sotto il dominio dei fascisti. Non sanno o non vogliono sapere che l’insurrezione è un’onda che allunga la sua cresta dalle periferie fin dentro le circonvallazioni. I primi commissariati vengono occupati al mattino del 25. Una sede operativa si insedia nel comando di polizia di via Carlo Poma, in zona Risorgimento, poco fuori dal centro storico: gli agenti si arrendono senza sparare un colpo, avvertiti da tempo dalle brigate Matteotti, quelle dei socialisti. L’orologio dell’ordine insurrezionale scorre ancora lento, ma c’è chi entra in azione in modo spontaneo. I tedeschi hanno già capito: caricano camion, arraffano ciò che credono sia utile, fossero solo pneumatici. Lungo viale Campania una brigata Garibaldi guidata da Bruno Galbiati (“Marino”) procede indisturbata verso piazza Leonardo Da Vinci e la colonna è ingrossata anche da cittadini comuni: sono più o meno 340 e hanno 5 fucili mitragliatori, 17 fucili automatici, 56 pistole e alcune bombe a mano. Occupano il Politecnico.

Alle 11 partono le staffette con l’ordine dell’insurrezione, approvato dal Cln Alta Italia riunito nella sala verde dell’istituto salesiano di Sant’Ambrogio, in via Copernico, a due passi dalla stazione centrale. La rivolta finale è fissata per le 13. A mezzogiorno si fermano i tram: in quel momento Parma è dichiarata liberata, i partigiani aspettano l’ingresso degli Alleati in città. A Milano è un concerto di sirene. Arrivano dalle fabbriche: si comincia a combattere negli stabilimenti, in quasi tutti gli impianti occupazioni e barricate sono cominciate da ore.

Alla Pirelli di via Filzi, vicino alla stazione, gli operai hanno passato lì la notte. La battaglia inizia con 36 inquadrati nelle formazioni partigiani più una trentina di volontari, 15 moschetti, 20 pistole, una mitraglietta senza treppiede, una ventina di bombe a mano. L’autonomia di fuoco viene calcolata in mezz’ora. A mezzogiorno inizia lo sciopero e alle due l’impianto è circondato dai fascisti: da dentro le Sap, le Squadre di azione patriottica, gruppi di combattimento partigiani costituiti in ogni fabbrica, provano a rispondere con le poche armi che hanno. Le bombe a mano finiscono quasi subito. I nazifascisti se ne approfittano, un carro armato tedesco sfonda i cancelli: i partigiani sono senza proiettili, si arrendono. Un gruppo di lavoratori viene arrestato, trascinato all’hotel Gallia: i brigatisti neri, paramilitari fedeli a Salò, li minacciano di fucilazione. I fascisti saranno mortificati dai nazisti, come per abitudine: due ufficiali tedeschi si dicono convinti che “il personale della Pirelli è stato vittima di un colpo di mano di partigiani esterni”. Fucilare degli operai in una città ormai in rivolta può essere un azzardo. La storia della Pirelli finirà di notte: le Brigate Garibaldi – che si sono precipitate in soccorso – evacueranno definitivamente i nazifascisti.

Alla Innocenti, a Lambrate, vengono sbarrati centralino e uscite, 15 nazifascisti vengono fatti prigionieri. A difesa della fabbrica ci sono due mitragliere. La sera sul tetto sventola una bandiera rossa. Ma non è finita. Una settantina di tedeschi – in assetto di guerra – riprendono parte dello stabilimento, con sé hanno un piccolo cannone. I sappisti riparano in un’altra parte della fabbrica e nel locale uffici e aspettano i rinforzi, che si concretizzano in 5 diverse Brigate Garibaldi e altre formazioni non meglio identificate. Due ore di combattimenti e i nazisti si devono arrendere.

Le occupazioni e gli scontri a fuoco si moltiplicano: nella zona Sempione-Gallaratese l’Alfa Romeo e la Pracchi, fuori da Porta Romana la Motomeccanica, la Om, la Centrale del Latte, la Magnaghi a Turro, il deposito locomotive a Greco. Nei dintorni di Porta Venezia una pattuglia di sappisti del reparto meccanico dell’Atm disarmano i fascisti e portano le armi a chi è rimasto in officina, un’autorimessa dell’Atm è sbarrata.

A Sesto San Giovanni nascono posti di blocco a tutti gli stabilimenti Falck, alla Ercole Marelli si istituiscono turni di guardia, mentre alla Pirelli nasce un servizio sanitario con una cinquantina tra medici e infermieri. Le cucine preparano minestra calda. Davanti ai cancelli della fabbrica Cge, in via Tortona, i fascisti fucilano due appartenenti alla Organizzazione Franchi, la brigata badogliana diretta da “Franco Franchi”, Edgardo Sogno, il monarchico che sarà presidenzialista e attraverserà tutta la Prima Repubblica da liberale, anticomunista e per non farsi mancare niente membro della P2. L’obiettivo è intimorire chi sciopera. Appena sa dell’esecuzione Sandro Pertini si precipita e improvvisa un comizio davanti ai lavoratori.

I partigiani organizzano i primi blocchi per non far uscire le auto in fuga da Milano – arrendersi o perire -, sparatorie si verificano nelle strade che portano via dalla città: via Comasina, in viale Sarca, in via Fulvio Testi. In viale Zara un bus di linea e parecchi camion colmi di decine di baschi neri della Milice Française, guidati dal famigerato collaborazionista Joseph Darnand sono fermi lungo la strada e sembrano non sapere dove andare: forse si volevano accodare alle colonne in fuga con Mussolini ma hanno sbagliato strada. Gli viene intimato di arrendersi e loro si fanno strada sparando a casaccio dai camion.

L’aria della città ha accumulato energia ad alta tensione pronta a essere rilasciata. Alla Pirelli di Bicocca il comandante di una Brigata Garibaldi, Bruto Mauri, per poco non viene preso a fucilate quando piomba all’ingresso dell’azienda sbarrato da un vecchio locomotore. Nel caos nessuno ha pensato a una parola d’ordine per non scambiare i lupi con gli agnelli. Alla fine viene riconosciuto, qualcuno gli getta di sotto una scala per scavalcare il muro.

A essere conquistate sono anche le sedi del Corriere della Sera, della Gazzetta dello Sport, del Popolo d’Italia, il giornale del partito fascista: si stampano edizioni straordinarie dell’Unità, dell’Avanti, di Italia libera, organo del Partito d’azione. Il Corriere della Sera non esce: c’è il Nuovo Corriere che dà come tutti la notizia dell’insurrezione. Il titolo del pezzo di cronaca è Cronaca di ore memorabili, la firma è di Dino Buzzati: “Senza osare ancora crederlo, Milano si è risvegliata ieri mattina all’ultima giornata della sua interminabile attesa”. “Manifestazioni di solidarietà patriottica – racconta – riuniscono così gli operai della Caproni, della Magnaghi, dell’Allocchio-Bacchini, dell’Isotta-Fraschini, della Galileo, della Salmoiraghi, della Salva e di moltissime altre fabbriche. Anche donne ‘fuori legge’ partecipano a queste adunate, con l’intrepidezza dimostrata del resto altre volte, in giornate e in occasioni ben più rischiose. Tra esse è la madre di due partigiani caduti che parecchi giorni fa, quando le maglie della vigilanza fascista non si erano per nulla allentate non aveva esitato ad accompagnare un gruppo di partigiani in vari stabilimenti all’ora della mensa, e a rivolgere ai lavoratori parole animatrici”.

Le 21,30 sono l’ora in cui Pertini legge da Radio Milano Libertà il proclama insurrezionale: “Arrendersi o perire”. Arriva la notizia che Busto Arsizio è la prima città della Lombardia a essere libera: viene conquistata la sede dell’Eiar, la radio della Repubblica di Salò, ora in onda ora c’è Radio Busto Arsizio Libera. “L’Alto Milanese è liberato dai patrioti italiani!”. A Varese la Brigata nera “Gervasini” è l’ultima sacca ad arrendersi: si sono barricati in una scuola elementare, circondata dai partigiani comunisti della Brigata Walter Marcobi. I fascisti gettano dalle finestre tutte le bombe a mano, ma è l’ultima carta di una partita arrivata alla fine: tocca uscire con le mani in vista.

A Milano cade la notte. Si spara attorno a piazza San Sepolcro, dove l’embrione del fascismo è nato 26 anni prima. I fascisti fino al giorno prima sono stimati in circa 10mila eppure sembrano non avere, non volere una difesa organizzata: fanno perdere le tracce o sono in fuga, come il loro Duce, in lunghe colonne di autocarri verso Nord, lungo corso Sempione. Chi decide di restare o non è riuscito a salire sul predellino giusto si difende come può. Qualche cecchino si materializza dai tetti, per esempio in Galleria Vittorio Emanuele. I partigiani si prendono incrocio su incrocio fino alla vecchia cerchia dei Navigli. “Niente scontri tremendi, niente battaglie furiose, niente assalti fra il fumo delle granate e le fiammate di mitra, solo scaramucce e sparatorie” racconta un sacerdote, don Beniamino Brignoli, nelle sue memorie. I cadaveri dei nazisti e dei fascisti che hanno perso la loro guerra di occupazione in qualche caso restano sui marciapiedi. Succede in piazza della Repubblica, i corpi sono di una ventina di soldati della X Mas: anche questo è un messaggio e tradotto significa che è finita. Sull’altro lato della piazza – racconta ancora don Brignoli – ufficiali tedeschi vengono caricati sulle camionette degli americani: i nazisti vengono insultati dalla gente scesa in strada, la Finanza si deve impegnare per frenare l’ira della popolazione. E’ la folla, di nuovo, la stessa che comparirà a piazzale Loreto qualche giorno dopo.

Sandro Pertini in un comizio a piazza Duomo

La Finanza, come da programma, il 26 aprile occupa la prefettura, in corso Monforte. Il colonnello Alfredo Malgeri, dopo qualche ora, stringe la mano a Riccardo Lombardi, delegato del Partito d’Azione, primo prefetto della Milano libera. Il socialista Antonio Greppi è il nuovo sindaco della città. Entrambi sono stati nominati dal Cln Alta Italia. Ora a essere controllati, l’uno dopo l’altro, sono il Comune, le sedi fasciste, il comando militare di via Brera, il Palazzo Reale, la Casa dello Studente in viale Romagna, il Palazzo dell’Aeronautica lì vicino. Suonano le sirene antiaeree ma questa volta è per decretare la Liberazione. Il Cln Alta Italia assume i “pieni poteri”. Una foto di quel giorno illustra Pertini in un improbabile doppiopetto apparentemente gualcito che gesticola e alza il pugno al cielo, circondato da partigiani in armi: sta pronunciando il primo comizio della Milano liberata. I tram ricominciano a circolare. La città si riempie di partigiani scesi dalle montagne, dall’Oltrepò, da Oleggio, da Novara, passando da Rho: alcuni di questi saranno fondamentali per avere ragione definitivamente delle ultime sacche di nazifascisti asserragliati in caserme, edifici pubblici, fabbriche. Dall’aeroporto di Vergiate si alza un aereo che lancia volantini nelle province di Varese e Novara: su un alto una scritta in italiano e in tedesco (“Fascisti, la guerra sta per terminare. Per il vostro bene arrendetevi”), sull’altro una solo in italiano (“Italiani unitevi, cacciate fuori dalla vostra terra l’invasore”).

Da sinistra Ferruccio Parri, Raffaele Cadorna e Luigi Longo: i vertici dei Corpi volontari per la libertà, “l’esercito” partigiano

Aldo dice venti sei per uno: Torino
Manca Torino, l’ultimo vertice del triangolo industriale su cui il delirio nazifascista contava ancora. Il 24 il comando regionale aveva fissato il momento dell’insurrezione con questo messaggio: “Aldo dice ventisei per uno – stop – Nemico in crisi finale – stop – Attuate piano E 27 – stop – Capi nemici et dirigenti fascisti in fuga”. Ventisei per uno: il 26 all’una di notte. I partigiani prendono il controllo delle grandi industrie come la Fiat Grandi Motori, Acciaierie, Fonderie Ghisa, la Lancia. Il lavoro è bloccato ovunque, anche se i nazifascisti provano l’ultima resistenza. La città si trasforma in un grande campo di battaglia. Mentre si combatte, mentre la prefettura e il Comune sono occupate e poi di nuovo perse dai partigiani, mentre i ferrovieri difendono la stazione di Porta Nuova, fascisti e nazisti cercano la loro locale, estrema ratline: i primi offrono un improbabile “passaggio di poteri”, i secondi – attraverso l’arcivescovado – una “Torino città aperta” per poter guadagnare l’uscita.

“I giorni più belli sono stati quelli dell’insurrezione, che è stata silenziosa, disciplinata, fermissima. Il Cln l’ha scatenata contro la volontà degli alleati e per 36 ore la città è stata tenuta solo dalle formazioni cittadine, malissimo armate, ma animate da uno spirito e da un’organizzazione incredibili – scrive in una lettera Giorgio Agosti, amico del filosofo Norberto Bobbio e dello storico Alessandro Galante Garrone – Gente in tutte le fogge e tutte le divise, con le armi più strane, con le barbe più inverosimili: e i nostri cannoncini sgangherati, i nostri carri armati ricoperti delle scritte più bislacche”.

Le armi dei partigiani stanno per finire, ma i nazisti sono consapevoli non poter resistere oltre. Il generale Hans Schlemmer non trova la via d’uscita, chiede di nuovo un corridoio per uscire dalla citta e minaccia di trasformare Torino in una “seconda Varsavia” (nella capitale polacca i nazisti soffocarono nel sangue l’insurrezione, con quasi 200mila vittime civili). E’ un bluff, i tedeschi prendono tempo e poi sfondano i blocchi partigiani per fuggire verso Chivasso. A mezzogiorno del 28 aprile Torino è libera, i palazzi delle istituzioni sono in mano ai partigiani. Quando il primo maggio si vedono le prime truppe alleate – una divisione brasiliana – i servizi pubblici sono già in funzione.

Fonti
25 aprile 1945, Carlo Greppi, Laterza
Storia della Resistenza, Marcello Flores e Mimmo Franzinelli, Laterza
Documenti dell’Istituto per la storia dell’età contemporanea di Sesto San Giovanni
Genova 1943-1945, Elisabetta Tonizzi e Paolo Battifora, Rubbettino
Storia di un proclama: appuntamento dai salesiani, Francesco Motto, Las
Insurrezione e liberazione di Genova, conferenza della storica Elisabetta Tonizzi per il 60esimo della Liberazione
Istituto piemontese per la storia della Resistenza e della società contemporanea

L'articolo 25 aprile, l’ultima battaglia di Milano ora per ora: i combattimenti in fabbrica, la fuga dei fascisti, l’occupazione degli edifici pubblici proviene da Il Fatto Quotidiano.

Autore
Il Fatto Quotidiano

Potrebbero anche piacerti