14 ottobre 1944: muore Erwin Rommel
- Postato il 14 ottobre 2024
- Di Focus.it
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La triste parabola di Erwin Rommel, il generale prediletto di Hitler, attraverso l'articolo "La volpe in trappola" di Dario Biagi, tratta dagli archivi di Focus Storia.. Il pupillo di Hitler. Persino Hitler, solitamente altezzoso e glaciale con i sottoposti, lo coccolava come un fratello premuroso: "Eravamo tutti preoccupati per lei", commentò al rientro del guerriero dalle vittoriose scorribande tra Ardenne e Piccardia del maggio 1940. Solo a lui aveva concesso di condividere, praticamente alla pari, le luci della ribalta del gran carrozzone propagandistico montato da Göbbels. Derogando al suo egocentrismo, Hitler l'aveva lanciato come un divo al rientro dai trionfi libici di Gazala e Tobruk, battaglie con cui il "suo generale prediletto" aveva sbaragliato gli inglesi, superiori numericamente, riconquistando la Cirenaica e insidiando l'Egitto.
Un sondaggio Gallup stabilì nel '42 che il feldmaresciallo Rommel era il tedesco più conosciuto all'estero dopo il Führer. Il panzer-general, l'eroica "volpe del deserto", era il fiore all'occhiello del delirio di onnipotenza nazista. Hitler stravedeva per lui e Rommel venerava il suo capo come un semidio. Almeno finché non si accorse che quel semidio con la sua follia stava portando la Germania dentro il baratro.. Un generale di fascino. Erano in tanti, per la verità, ad avere un debole per quel condottiero svevo, anche tra gli avversari. Difficile non innamorarsi di un combattente così geniale, audace eppure cavalleresco. Rommel soccorreva i nemici feriti, trattava con umanità i prigionieri (e ne faceva tanti nelle sue campagne) e, quando gli ordinarono di trattare i soldati ebrei catturati non come prigionieri di guerra ma come ebrei, disobbedì. Non si dava arie con i suoi soldati, prendeva con loro il rancio e aveva modi camerateschi.
Soprattutto stava sempre in mezzo alla truppa in battaglia, a bordo di un blindato da ricognizione, come se cavalcasse un destriero alla testa di una carica. Era questo che lo differenziava dagli altri comandanti: era il re della tattica, della manovra, dell'improvvisazione. Gli altri erano strateghi che programmavano da lontano, a tavolino.. Filo diretto con Hitler. Lui, guidato da quel che i tedeschi chiamano "fiuto per la vittoria", prendeva decisioni momento per momento con la massima rapidità e flessibilità. Per vincere, diceva, bisogna colpire "a pugno chiuso", cioè con forza nel punto decisivo; e questa determinazione poteva venire solo dall'esempio contagioso del comandante. Cioè da lui. I suoi soldati lo adoravano; gli avversari, Churchill in testa, lo ammiravano. Molto meno lo amavano i colleghi, regolarmente scavalcati dal suo individualismo. Nessun ordine poteva frenarlo quando fiutava la vittoria. Gli dicevano di difendere la Tripolitania e lui si lanciava alla riconquista della Cirenaica e puntava a invadere l'Egitto.
Se provavano ad arginarlo, si rivolgeva direttamente a Hitler e, grazie al filo diretto con lui, riusciva a bypassare i vari Gariboldi, Bastico e altri comandanti italiani. Persino a Mussolini non restava che mugugnare e inchinarsi. Parecchi nemici s'era fatto anche tra i capi della Wehrmacht per le critiche a muso duro. Alcuni lo trovavano precipitoso e poco attento ai risvolti logistici. Ma lui era fatto così, e poteva sempre contare sul suo filo diretto con il capo supremo.. Al fronte. Il 4 settembre '39 Hitler lo inviò sul fronte polacco come generale di divisione. Scelse di passare a un reparto corazzato. Al comando della 7a Divisione partecipò all'offensiva sul fronte occidentale. In tre settimane traversò la Mosa e perforò la Linea Maginot seminando lo scompiglio tra i francesi. La sua unità riusciva a sfruttare così bene il fattore sorpresa che fu ribattezzata Divisione fantasma.
Si superò poco dopo sul fronte nordafricano, dove era accorso per rimediare alle batoste subite dagli italiani. Nel deserto libico da comandante dell'Afrika Korps espresse il meglio del suo genio bellico. Riuscì a disorientare e battere l'armata britannica, in netta superiorità numerica, con mille espedienti e invenzioni tattiche. Arrivò a sollevare nuvoloni di sabbia per sparire alla vista del nemico e a camuffare da carri armati vecchi telai di Volkswagen. Si arrese, nelle sabbie di El Alamein, solo alla scarsezza di rifornimenti e mezzi. Per qualche mese si illuse, e illuse i dittatori dell'Asse, che avrebbero conquistato l'Egitto, si sarebbero riversati in Persia, mettendo le mani sul petrolio degli inglesi: fu consacrato eroe nazionale e condottiero invincibile. Si prestò anche a interpretare se stesso in un film di propaganda, Vittoria in Occidente, e a posare per i fotografi come un divo dei fotoromanzi.. Rotta di collisione. La musica cambiò nel 1943. L'orso russo era tutt'altro che domato e il pessimismo cominciava a serpeggiare nelle file della Wehrmacht. Il feldmaresciallo, che aveva creduto ciecamente nel Führer e nei suoi proclami, cominciò a ricredersi appena lo spedirono in Normandia, alla testa del Gruppo di armate B, a predisporre le difese del Vallo Atlantico. Fino ad allora non aveva afferrato, o aveva sottovalutato, la follia del disegno hitleriano di conquistare il mondo eliminando interi popoli. Pochi giorni dopo lo sbarco degli Alleati sulle coste normanne, si rese conto che il nemico era troppo forte, la disfatta inevitabile.
Sfidando l'ira di Hitler, gli consigliò allora, e alla fine gli intimò, di negoziare la pace con le potenze occidentali. Una soluzione politica era l'unico modo, secondo Rommel, per salvare la Germania dalla distruzione completa. Meglio se a Berlino fossero arrivati inglesi e americani piuttosto che i russi. Hitler lo zittì ordinandogli di non ritirarsi dai dintorni di Caen e promettendogli la riscossa grazie a nuove armi segrete (i missili V1 e V2) e all'intervento della Luftwaffe. Il 16 luglio Rommel replicò con una sorta di ultimatum al suo Führer.. La situazione precipita. Rommel sapeva della cospirazione contro il Führer, passata alla Storia come Operazione Valchiria. Martin Bormann, segretario particolare di Hitler, lo riterrà coinvolto in prima persona. Probabilmente Rommel era, sì, informato del piano, ma contrario all'attentato. Ma a quel punto la situazione precipitò: per la "volpe" era ormai troppo tardi. Il 17 luglio 1944 un caccia nemico mitragliò l'auto del generale sulla strada di Vimoutiers; Rommel riportò nell'attacco la frattura cranica e varie ferite. Tre giorni dopo, a Rastenburg, scoppiò la bomba contro Hitler. Il Führer scampò per miracolo e immediatamente si scatenò un'ondata di arresti, suicidi e fucilazioni. Mentre succedeva tutto questo, Rommel era ancora in ospedale, fuori gioco ma potenzialmente pericoloso.. Una dose di cianuro. Il 7 ottobre il nuovo capo dell'esercito, Keitel, lo convocò a Berlino. Rommel si rifiutò di lasciare Herrlingen, la cittadina dove si era ritirato, ormai lontano dal comando. Allora Keitel gli mandò a casa due messaggeri con le presunte prove della sua complicità nella congiura e una proposta. Tra l'altro, risultò che Gordeler, il congiurato candidato al ruolo di futuro cancelliere al posto di Hitler, aveva indicato proprio Rommel per la poltrona di presidente del Reich. E saltarono fuori tre testimonianze, tra le quali la più schiacciante era quella del colonnello Von Hofacker. Agli atti, anche le dichiarazioni di due vecchi sodali di Rommel, i generali Speidel e Von Stulpnagel.
Insieme a quelle carte, i messaggeri consegnarono alla "volpe del deserto" due opzioni e una capsula di cianuro: o si faceva processare per alto tradimento oppure sceglieva il suicidio, un'onorevole "via d'uscita da ufficiale". Avrebbero spacciato la sua morte per un infarto, il che gli avrebbe garantito funerali di Stato e l'immunità dei suoi famigliari. Rommel, che pure non aveva cospirato, ma che opponendosi apertamente alla volontà del Führer era conscio di aver tradito come soldato, sia pure per il bene della patria, decise in dieci minuti: il tempo di vestirsi e salutare moglie e figlio. Fuori lo aspettava un'automobile: si sedette sul sedile posteriore e ingurgitò il cianuro..