Taranto dice no al rigassificatore: l’ex Ilva rischia il futuro

  • Postato il 7 agosto 2025
  • Di Panorama
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Il virus Nimby torna a contagiare la Puglia. Nel caotico tentativo di risollevare Acciaierie d’Italia (la ex-Ilva), tra dimissioni del neo sindaco di Taranto e spaccature sempre più profonde nella città, è emersa una diffusa ostilità a una infrastruttura che riguarda il gas.

Una storia che si ripete. Dopo le violente proteste contro il gasdotto Tap a Melendugno e il fallimento del progetto di un rigassificatore a Brindisi, l’effetto «Not in my back yard», questa volta prende di mira la proposta di installare una nave rigassificatrice per alimentare il processo di decarbonizzazione dell’impianto siderurgico.

Un progetto contestato da ambientalisti e comitati cittadini, con l’appoggio del Comune e in parte della Regione, ma considerato strategico per il futuro dell’impianto. Chi protesta vorrebbe una decarbonizzazione immediata, ma senza il rigassificatore galleggiante: una difficile quadratura del cerchio.

Perché serve gas all’acciaieria?

Per abbattere le emissioni inquinanti della fabbrica. Il comitato tecnico del Mimit ha delineato due scenari:

Scenario A: ambizioso e ad alta tecnologia

Prevede la sostituzione degli altoforni con tre moderni forni elettrici alimentati da preridotto di ferro, prodotto tramite impianti Dri che usano gas naturale (e in futuro idrogeno) al posto del carbone.

Include sistemi di cattura e stoccaggio della CO2, con enormi benefici ambientali e una filiera industriale avanzata a Taranto. Ma il fabbisogno di gas è altissimo: 5,1 miliardi di metri cubi annui.

Scenario B: meno ambizioso ma meno energivoro

Stessi forni elettrici, ma senza impianti Dri. Il preridotto andrebbe importato, con perdita di valore e occupazione, senza riduzione globale delle emissioni. Il consumo di gas si fermerebbe a 1,4 miliardi di metri cubi all’anno.

Il nodo infrastrutture: la nave nel porto

Il governo e i commissari puntano sullo Scenario A. Ma come portare così tanto gas a Taranto?

Il potenziamento del gasdotto Tap è troppo lento (oltre 58 mesi di lavori), quindi la soluzione proposta è una nave rigassificatrice nel porto. Costo stimato: 500 milioni di euro. Tempi: rapidi.

Le reazioni: tensioni politiche e istituzionali

Il governatore Michele Emiliano, inizialmente contrario, ha ammesso che la nave «non rappresenta un grande pericolo». Più netta la contrarietà del neoeletto sindaco di Taranto, Piero Bitetti, che ha presentato (e ritirato) le dimissioni dopo le proteste:

«Una nave rigassificatrice non è sicura per un territorio già gravato da raffineria e stabilimento siderurgico. Un incidente potrebbe causare un effetto domino devastante».

Bitetti ha anche sottolineato che la nave non è a impatto zero, è inquinante e ostacolerebbe le attività commerciali del porto.

Urso: «O la nave o il piano A va altrove»

Il ministro Adolfo Urso ha lanciato un aut-aut: senza nave, il Dri si farà altrove. Taranto perderebbe investimenti e posti di lavoro. In caso di no ufficiale dal Comune, si procederà con lo Scenario B, sperando in un ritorno al piano A solo se cambieranno le condizioni.

I rigassificatori in Italia: una realtà già presente

La nave rigassificatrice non è un’eccezione: in Italia ne esistono già cinque:

  • Panigaglia (La Spezia)
  • Rovigo (Porto Viro)
  • Livorno (ancorata a 22 km dalla costa)
  • Ravenna
  • Piombino (in porto, con proteste)

Tutti fondamentali per la sicurezza energetica e la diversificazione.

Il precedente di Brindisi e la battaglia persa

Nel 2000, British Gas propose un rigassificatore a Brindisi. Il comitato “No Gas” bloccò tutto, nonostante anni di contenziosi. Per molti, fu un’occasione mancata per lo sviluppo del porto.

Il caso Tap: tra proteste e risultati

Il parallelo più forte è con il gasdotto Tap. A Melendugno, guerriglia urbana, cantieri militarizzati, proteste politiche e mediatiche.

Accuse: disastro ambientale, distruzione del paesaggio, danni al turismo, ulivi secolari sradicati. Oggi però, a opera conclusa:

  • Il microtunnel sotto la spiaggia è invisibile
  • Gli ulivi sono stati salvati e reimpiantati
  • Nessun disastro ambientale

Taranto: un bivio decisivo

A Taranto si ripete lo stesso copione. Le paure devono essere ascoltate e chiarite, ma il rischio è un’opposizione ideologica. La scelta è cruciale: dire no alla nave può voler dire dire addio alla decarbonizzazione, all’occupazione e a un ruolo strategico per l’ex Ilva.

E allora, chi se la compra?

Autore
Panorama

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